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Zan, Renzi e M5s. Il Letta sotto assedio ha un piano per reagire

Il disegno di legge contro l'omotransfobia (a cui potrebbero voltare le spalle una quindicina di senatori dem), le elezioni a Roma e la partita del Quirinale: ecco i fronti aperti nel partito democratico 

I tempi di Nicola Zingaretti, quelli, per intendersi, del logoramento pressoché quotidiano del segretario, sembrano assai lontani, ma Enrico Letta sa bene che il Pd è un partito complicato, dove le tensioni e le incomprensioni covano sotto traccia e potrebbero riesplodere da un momento all’altro. Perciò il leader dem, che sa di non avere il controllo dei gruppi parlamentari (che, come è noto, risalgono alla segreteria Renzi) né di avere dentro al partito moltissimi dirigenti a lui fedeli, sta valutando come prendere veramente in mano le redini del Pd. Al momento le detiene perché è segretario da pochissimo tempo e persino i dem, vocati al tafazzismo, preferiscono evitare il suicidio – politico – di massa. Ma non gli basta questa rassicurazione. Letta vuole di più: fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Per questa ragione sta seguendo da vicino la “pratica” della legge Zan. Al Nazareno è stato riferito che potrebbero essere addirittura quasi una quindicina i senatori dem che a voto segreto potrebbero impallinare alcuni articoli di quel provvedimento. E’ un’eventualità che a suo giudizio va scongiurata a tutti i costi. Un conto è avere un gruppetto di due tre dissidenti, tutt’altra storia è avere un drappello così nutrito di senatori che storcono il naso di fronte alla legge Zan. Letta quindi ha affidato la gestione della vicenda alla presidente del gruppo di Palazzo Madama, Simona Malpezzi, e al suo vice Cesare Mirabelli. Tutti gli altri, persino Monica Cirinnà, sono ai margini. Il segretario si fida solo del duo Malpezzi-Mirabelli. E sia l’una che l’altro riferiscono direttamente a lui tutti i passaggi più delicati.


Nel futuro prossimo di Enrico Letta ci sono le elezioni capitoline. Vincere o perdere a Roma farà la differenza per il leader dem. Se infatti, pur andando al ballottaggio, Roberto Gualtieri dovesse perdere con il centrodestra, cosa non scontata, Letta sa bene che la maggior parte delle responsabilità della sconfitta gli verrebbero addossate. A lui più che all’ex ministro candidato. E partirebbe il tradizionale tormentone dem sulla leadership del partito. Le Agorà immaginate da Letta dovrebbero servire, oltre a preparare il terreno alla futura alleanza di centrosinistra, anche a sostenere la campagna elettorale del Pd nelle città dove si vota in autunno, con particolare riferimento alla Capitale. Si capisce quindi perché il segretario del Partito democratico, pur affidando formalmente la gestione delle Agorà allo zingarettiano Nicola Oddati, l’abbia in realtà appaltata a un giovane di sua fiducia: Michele Bellini, capo del suo staff, non iscritto al Pd. Nicola Oddati lo ha capito solo in tempi recenti, quando ha visto che con la regia di Bellini, alcuni giornali amici avevano pubblicato ampie anticipazioni sulle Agorà. Lui non ne sapeva niente e raccontano che ci sia rimasto piuttosto male. 


L’altra importante partita che Letta dovrà affrontare riuscendo a portarsi dietro tutto il Pd è naturalmente quella del Quirinale. Il segretario faceva affidamento sui 5 stelle, che in Parlamento hanno i gruppi più numerosi, per estromettere la Lega dalla partita. Ora le cose si sono complicate. Anche perché, come ha fatto capire chiaramente Matteo Renzi in un’intervista di ieri a Repubblica, Italia viva giocherà questa partita senza fare sponda con il Pd. L’ex premier ha detto che vuole coinvolgere anche la destra nell’elezione del successore di Sergio Mattarella. Ora a Letta non resta che aspettare che Beppe Grillo e Giuseppe Conte siglino un armistizio per tornare alla carica con il Movimento 5 stelle e intavolare già da ora la questione Quirinale. Certo, le vicissitudini del M5s lo hanno reso più pessimista ma Letta ha tutte le intenzioni di intervenire attivamente in questa partita. Anche se il saggio Luigi Zanda, che di elezioni del capo dello Stato ne ha viste svariate, consiglia a tutti di non fare troppi piani anzitempo. A suo avviso è un esercizio inutile perché con un Parlamento così frammentato non si possono fare più quei begli accordi di una volta. E peraltro anche ai tempi della prima Repubblica non è che filasse sempre tutto liscio…  

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