Cosa cambia nel Pd

I conti senza Conte. Il Pd teme adesso l'infedeltà di Di Maio

Dopo lo strappo di Grillo mutano gli assetti: Qurinale, alleanze, sistemi elettorali

Carmelo Caruso

Conte da interlocutore credibile diventa adesso possibile competitor. L'angoscia di vedere un M5s di nuovo antisistema, lo scetticismo sulla fedeltà del ministro degli Esteri. Il Pd proverà a ripartire da Draghi

Roma. E’ tornato a fare quello che sapeva fare ma adesso è il Pd che non sa più cosa dire. Beppe Grillo non ha solo dato del “parruccone” a Giuseppe Conte, il professore avvocato “seicentesco” e dunque tutto cipria. Con la sua bozza di licenziamento ha in pratica riportato il M5s alla versione originale e costringe Enrico Letta a rivedere la sua agenda. Esce dall’orizzonte qualsiasi prospettiva maggioritaria se mai c’era stata. Il sistema proporzionale diventa unico mezzo di difesa per fermare l’avanzata delle forze di centrodestra. Ma non è solo questa l’angoscia.

 

Potrebbe nascere “la cosa” di Conte, un partito, un movimento, che rischia di togliere voti allo stesso Pd. E ne esce indebolito, in maniera irrimediabile, “il campo largo”, il neologismo chimera degli ultimi mesi, il tentativo disperato “a Napoli corriamo insieme ma anche in Calabria”. Quando Grillo ha infatti esodato l’avvocato, quando è tornato al vecchio spartito che conosce (perfino la votazione sulla piattaforma Rousseau con il vecchio compare Davide Casaleggio) al Nazareno, ed era già sera, si sono guardati e hanno capito che forse è finita un’epoca. Viene a mancare quel “riferimento progressista”, ma soprattutto viene a mancare un “interlocutore che nei mesi ha dato prova di affidabilità”.

 

Per il Pd Conte era, e si dice era perché non potrà più essere, nient’altro che questo. Si è compreso che malgrado le formule bizantine, il direttorio, il comitato dei garanti, tutte quelle pecette che Grillo ha promesso perché come, scrive lui, “ho visione politica”, il Pd dovrà adesso misurarsi con Luigi Di Maio. E’ vero che Letta aveva già cominciato a parlare con il ministro degli Esteri, a favorire una simpatia, ma nel Pd si chiedono ora: “Si è già alleato con la Lega. Era il compagno di Matteo Salvini nel governo gialloverde. Ha detto sì a tutte le sue leggi bandiera. Sarebbe rimasto con lui. Chi assicura che non potrebbe tornare da lui?”. Non sono sicuri della sua fedeltà. Temono il suo libertinaggio che in politica è però sempre astuzia.

 

Qualcuno ha perfino ricordato che, a Roma, “è stato Di Maio a frenare la candidatura più naturale che ci fosse, quella di Nicola Zingaretti”. Se Letta ha tifato (e lo ha fatto davvero e con sincerità) per una mediazione, se ha confidato fino alla fine che Grillo potesse diventare quello che non è, lo ha fatto perché teme la destra che dallo strappo ne esce sorridente. Ma non solo. Teme che possano ripartire quei movimenti di centro e che Conte (una sua iniziativa) non possa che sprigionare libertà. E’ quel centro in sonno che avrebbe un’occasione in più per provarci. Sono i vari Carlo Calenda, Mara Carfagna. Aumenta l’offerta così come le ambizioni. Ed è chiaro che cambia tutto in parlamento. Il M5s è descritto “come una nebulosa”. Sarà più complesso fare fronte compatto. L’accordo alle prossime elezioni, in Calabria, viene dato quasi per saltato. Anche il governo ne esce modificato nei rapporti di forza. In questo momento il partito più solido risulta essere la Lega di Matteo Salvini.

 

E lo sarà in chiave Quirinale. Si pensa già che il M5s sarà inservibile e che, malgrado il numero importante di deputati e senatori, non inciderà. Bisognerà insomma scegliere il successore di Sergio Mattarella con l’arcinemico, la Lega, quel partito con cui, lo ha precisato Letta, “non governeremo mai più insieme”. Scatterà tuttavia un’operazione che potrebbe avere benefici. Riappropriarsi di Mario Draghi, parlare più di Europa, lasciare a Irene Tinagli, la vicesegretaria vicaria del Pd, maggiore spazio per raccontare che i successi del governo sono i successi del Pd. Grillo si è liberato (a suo modo) del fantasma Conte. Il Pd può liberarsi di un altro fantasma: il governo dell’altrove.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio