Il racconto

La destra nel Colosseo. Il lancio di Michetti è uno show. Manca solo Ben Hur

Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia e il resto degli alleati alla corte del tribuno. Cesa: "E' cresciuto con me, gli ho consigliato di stare zitto e fare il moderato"

Simone Canettieri

La cronaca della conferenza stampa del candidato di centrodestra: "Io come Augusto: voglio la pace a Roma". Matone: "Ho salvato la Lega, era finita in un angolo". Meloni e Salvini nemmeno si salutano. E poi c'è Sgarbi

Un urlo: “Camerataaaa!”. Enrico Michetti si gira.   E’ arrivato Vittorio Sgarbi. Si può iniziare. Prima le foto, però. “Vitto’, mettiti la mascherina: ti prego”, gli intima Simonetta Matone. Sparata di flash. “Mi sembra di stare a un matrimonio”, confessa l’avv. cav. prof. “Michettone”, come lo chiama Sgarbi. Non sono i tre sindaci che ballano sulla stessa mattonella a sinistra (Gualtieri-Raggi-Calenda), ma il tridente del centrodestra: sindaco, prosindaco e assessore alla Cultura. Siamo al tempio di Adriano, ma potrebbe essere il Colosseo. Sono indomabili. E qui è tutto Spqr.  


Si presentano a questa prima divisi, sperando di reggere e colpire uniti. Da un vicoletto spuntano in piazza di Pietra un candidato sindaco (Michetti, a piedi, niente biga) e un quasi candidato (Maurizio Lupi, che a tutti dice “ci sentiamo mercoledì”, quando si sceglierà l’anti Sala a Milano).

Matone è da poco scesa da una Bmw blu 525. Si è portata dietro il curriculum da distribuire ai giornalisti per mandare a dire a Enrico Letta che “fu lui a scegliermi a capo del dipartimento di Giustizia, che non ho mai fatto parte di cordate”. Il magistrato, equilibrato per indole, poi  confessa al Foglio: “Ero più  alta di Michetti nei sondaggi come popolarità, io al 47 e lui al 19, ma alla fine è andata così: la Lega era in un angolo e io l’ho salvata. Lo faccio per Roma”. Che è un po’ quello che dicono tutti, qui. Dove il centrodestra che si vuole federare e quello che non ci pensa proprio sono in grande spolvero. Giorgia Meloni arriva per ultima e dalla Lega sbuffano.  

Scherza (forse): “Prima sindaco e prosindaco, poi premier e propremier? Perché no”, facendo capire il ruolo che potrebbe attendere Matteo Salvini. Che, invece, si muove da capo di “questa comunità”, cespugli compresi. Toh, Lorenzo Cesa, dominus dell’Udc: “Michetti non è un cazzone, è  uno strutturato. Faceva parte del mio gruppo quando ero consigliere comunale negli anni 90”. Quali consigli gli ha dato? “Di stare zitto e di fare il moderato”. 


Non c’è l’ex grillino Marcello De Vito neo colpo grosso di Forza Italia, ma Antonio Tajani sì. Al tavolo della conferenza di presentazione, Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, chiamato a fare le “domande” e a evitare temi divisivi tra i capi della destra. Qui non si esce dal Gra. Salvini e Meloni   si salutano a malapena. In sala – tra ex assessori della giunta Alemanno e qualche arnese della destra romana con mille biglietti obliterati – c’è Tommaso Longobardi, il genietto dei social di Fratelli d’Italia, l’anti bestia salviniana: “Va un po’ riattivato il profilo social di Michetti”. Per il quale Meloni spende grandi parole di referenze (tipo LinkedIn) e infila bene la storia del “cavalierato che il nostro candidato ha preso da Mattarella su proposta dell’allora premier Gentiloni”. 
Matone fa il discorso più programmatico di tutti: periferie, l’attenzione  a chi sta fuori dalla mitica ztl, i fragili, gli emarginati. Orde di cronisti e telecamere. Assembramento capitale.

Per Radio Radio, il trampolino che ha lanciato il candidato su vette altissime e gaffe  pazzesche, c’è la coppia Luigia Luciani & Stefano Molinari, orfana del tribuno. Michetti, che tifa la Lazio al contrario della giallorossa Matone, parla due volte. Parte piano, poi attinge al repertorio. Piero Angela alla carbonara? “Io sono fiero di essere stato chiamato tribuno. Lo sono! Sono un tribuno della plebe”. Ammette di non avere ancora un programma. Ma in compenso dice che i romani non avrebbero mai costruito le piramidi perché pensavano a ponti e acquedotti. Ripete la storia di Roma caput mundi, di San Paolo sulla via di Damasco. E poi attenzione: se la sinistra da sempre è attaccata al feticcio del mitico Luigi Petroselli, il direttore della Gazzetta amministrativa si rifà a Cesare Ottaviano Augusto che “portò la pace, quella che manca alla nostra Roma”. Salvini ascolta perplesso e si tocca i braccialetti del Milan. Claudio Durigon, che è il suo braccio destro,  ride: “Visto che intervento? Mancava solo Bruto!”. 


Poi certo c’è Sgarbi che lancia il “Michettone” così: “Sarò l’assessore dei miracoli, mi candido per la componente miracoli”. Il Vittorio nazionale ricorda che adesso c’è una responsabile alla Cultura, con Virginia Raggi, che è specializzata in burlesque e auspica che per il futuro possa arrivare in squadra anche il generale Figliuolo come commissario (non sa di cosa, però). Ma che importa. “Adesso ci penserà la politica”, promette Tajani. I big se ne vanno, Matone e Sgarbi pure. Rimane Michetti a rispondere a qualsiasi domanda: “Vi posso dire una cosa? Vi voglio bene, vorrei abbracciarvi tutti”. Ben Hur, dove sei?
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.