Simonetta Matone ospite di Porta a Porta, foto Mauro Scrobogna /LaPresse 

La candidata protosindaco di Roma

Matone story, da Giuliano Vassalli a "Porta a Porta", passando per le carceri

Lo stile nei talk show, le parole sui minori, il futuro nel "plastico" del centrodestra

Marianna Rizzini

Arrivava sempre il momento, nelle notti e negli anni in cui neanche si sarebbe potuto lontanamente immaginare l'imposizione di un coprifuoco per Covid, in cui, rincasando, si accendeva la tv per ascoltare le news e ci si imbatteva nello sguardo un po' preside del liceo e un po' Crudelia (versione pre-Emma Stone nel film di Craig Gillepsie) di Simonetta Matone. C'era lei, insomma, l'attuale candidata protosindaco di Roma (anche il lessico è adeguato allo standing professionale del magistrato specializzato in giustizia minorile), seduta su una delle poltroncine di “Porta a Porta”, nel momento in cui, come ha scritto su Repubblica Filippo Ceccarelli, andava in scena “l'inesorabile efferatezza destinata agli insonni della terza serata”.

  

  

E a quel punto, tra due litiganti solitamente troppo colpevolisti o troppo innocentisti, di fronte a casi di cronaca spaventosi, da Cogne in giù, si ergeva Matone: non sorridente, ma neanche accorata. Non di parte, ma non al punto da non far capire dove stesse, per lei, la strada della ragione. E se i giorni di Garlasco, il delitto, corrispondono all'apogeo del successo televisivo del magistrato, poi sostituto procuratore presso la Corte di Appello di Roma, sempre viva è la memoria, presso gli esegeti di talk show, del suo eloquio comprensibile anche agli apprendisti e ai non avvezzi ai codici penali e civili, così come viva è la memoria  dei suoi orecchini e anelli impossibili da non notare su abito monocolore, per non dire dei gomiti fermi sul bracciolo della poltrona.

 

Ma sono stati altri giorni a formare la Simonetta Matone che oggi scende in campo per Roma, e che domani si presenta in conferenza stampa al Tempio di Adriano, a fianco del candidato sindaco di Roma Enrico Michetti, alla presenza di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani: il magistrato, infatti, ha avuto il suo imprinting politico nel 1987, come capo della segreteria dell'allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli. Ci saranno altre esperienze ministeriali, molti anni dopo, con gli allora ministri Mara Carfagna, Anna Maria Cancellieri e Paola Severino. In mezzo molti anni – fondamentali – da magistrato di sorveglianza. E molti permessi, quella che la Matone ha concesso, consapevole del rischio ma anche dell'importanza di farlo, ai detenuti di Rebibbia, vedendoli tornare quasi tutti.

 

Non piaceva, negli anni più televisivi, al direttore del Fatto Marco Travaglio. Piace, negli anni di impasse sui candidati, al centrodestra – che a più riprese avrebbe voluto candidarla a sindaco o governatore, e però ogni volta poi correva qualcun altro (Francesco Storace, tanto per dirne uno). Non ci saranno plastici del delitto da decrittare, ora, davanti a Matone, ma non è detto che la gimcana romana sia più semplice, a partire da quella che, fino alla tregua di ieri, appariva come guerra di posizione nella non tranquilla atmosfera di centrodestra.

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.