(foto Ansa)

caos capitale

A Roma il centrodestra si presenti con un candidato collettivo

Andrea Venanzoni

Per sciogliere l'impasse nella Capitale Salvini e Meloni dovrebbero candidarli tutti nella stessa squadra: dalla Matone a Michetti

Circola un sondaggio, negli ambienti del centrodestra, che sembrerebbe certificare un dato noto a tutti, talmente noto che forse non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di commissionarlo quel sondaggio; e cioè che il Professor Enrico Michetti, definito da Giorgia Meloni ‘Mr Wolf’ con chiaro riferimento al capolavoro tarantiniano Pulp Fiction in cui Harvey Keitel interpreta un personaggio chiamato a risolvere problemi, per quanto delicati e spinosi essi possano essere, avrebbe scarsissimo appeal elettorale essendo ignoto e sconosciuto alla gran parte della popolazione capitolina.

Ed il punto, diciamolo subito, è proprio questo: i risolutori, i tecnici, i giuristi preparati e raffinati non possono essere i front-man della selvaggia campagna elettorale che si dipanerà nel torrido tramonto estivo della pandemia, mentre le volute di roghi tossici, i crateri stradali e la crisi endemica dei servizi pubblici cittadini renderanno sempre più complesso spiegare alla cittadinanza quale idea futura della città si possa avere, visto che l’impressione, un po' punk, è che Roma non abbia proprio un futuro.

Ogni giorno siamo sommersi dalle volute sinuose e serpentine di afrori baccanaleschi di mondezza imputridita per la via, da autobus impantanati o avvolti dalle fiamme, da stazioni chiuse e da servizi carenti, illanguiditi da un torpore quasi esistenziale: vediamo, dal vivo o in foto o in video, gente che si accoltella, scene di quotidiano degrado, marciapiedi e strade che si aprono in gioiosi crateri, mentre i quartieri si divaricano e si separano tra loro, come fossero gated-communities involontarie in un carnevale da faglia di Sant’Andrea.

La vita sociale è ridotta a un frame delle serie YouTube che ci mostrano il senso delle borgate, i codici d’onore del disagio e della anomia, i graffiti, le cattedrali nel deserto, le linee direttrici che fendono una notte sociale senza più fine. I progetti mancati, ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato, l’eterno ritorno di una Suburra sempre uguale. No future, appunto. Ma data la impossibilità di candidare John Lydon, pur se ormai professo di simpatie conservatrici e persino filo-trumpiano nelle ultime dichiarazioni, e cercando di risollevare la fisionomia declinante di una città che sembra tornata agli anni più cupi del suo ottocento, quando la gente buttava la spazzatura dalle finestre e si veniva accoltellati tanto per sport, non basta il pur volenteroso e preparato Michetti. Che è persona stimabile, ma sconosciuta ai più. Perché potrà essere stato descritto dalla parte del centrodestra più favorevole alla sua discesa in campo come un tribuno popolare a mezzo radio, quasi a lasciar intendere una popolarità galoppante ma quella Radio per quanto diffusa a Roma non è Roma.

 

E l’idea è che quel sondaggio sia stato decretato proprio per segnalare una verità difficilmente revocabile in dubbio e cioè che in politica, ancora legata a flussi di costruzione del consenso, tanto più nella dimensione della amministrazione attiva e delle autonomie territoriali, non ci si improvvisa, a meno che uno non possa godere di una enorme rendita di posizione alle spalle, come poteva essere nel caso di Bertolaso.

Michetti potrebbe essere nominato Capo di Gabinetto, o essere posto in qualche articolazione amministrativa di rilievo, di snodo e di connessione tra decisione politica e linea di intervento amministrativa, in caso di vittoria alle elezioni del centrodestra, ma difficilmente potrebbe essere lui, da solo, il vincitore: d’altronde un Sindaco deve essere sì competente ma deve avere anche una sua forma di conoscenza delle dinamiche politiche al fine di operare, specie in un ambiente endemicamente litigioso come il centrodestra e in una città propensa a balcanizzarsi come Roma, una delicatissima sintesi tra varie anime, sfumature e sensibilità.

Perché quando si evoca la società civile, autentico richiamo della politica a corto di idee, mezzi e uomini, ci si dimentica sempre poi che quella società civile sarà chiamata a incarnare una figura che dovrà mediare, proporre, indicare linee di indirizzo che saranno appunto squisitamente politiche a figure riottose come un Bruto, pronte in metafora a piantare un coltello alle spalle per racimolare più consenso personale.

Arrivati a questo punto allora, l’idea potrebbe essere un’altra: prendere tutti i nomi proposti sin qui e candidarli tutti, magari estraendo a sorte il candidato a Sindaco con la precisazione che quello sarà semplicemente l’elemento simbolico e segnaletico di una squadra che avrà nei fatti lo stesso identico ruolo.

La Matone, Abodi, Michetti, Giletti e ogni altro nome di imprenditore, giurista, magistrato, giornalista, musicista apparso sulla scena sino ad oggi tra le fila del centrodestra: il nome del candidato sindaco dovrebbe essere innervato all’interno di un autentico dispositivo di intelligenza collettiva, concetto che sono ben certo Pierre Teilhard de Jardin, Pierre Lévy, Kevin Kelly, sarebbero lieti di liberare e sgomberare dall’abbraccio dei cinquestelle che fino ad oggi l’hanno evocato e strombazzato senza averlo mai capito.

Un candidato collettivo, cooperativo, munito di una identità altrettanto collettiva, per una sfida, il governo di Roma, che è oggettivamente tremenda e che solo un portatore della benda hachimaki dei kamikaze potrebbe pensare di affrontare in beata solitudine: esperienze, curricula, professioni, sensibilità da mettere tutte nell’insieme per proporre una squadra candidata, e non un singolo candidato, e vincere così la tremenda impasse fino ad oggi registrata.