Foto Roberto Monaldo / LaPresse

“La gogna ormai è un esercizio a perdere per tutti”

Mara Carfagna

“Basta gogna”: bravo Di Maio. E non è solo una questione di garantismo. Ci scrive Mara Carfagna

Al direttore - Sono colpita dalle parole che il ministro Luigi Di Maio ha affidato ieri al vostro giornale, non solo per le scuse all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, recentemente assolto dall’accusa di aver manipolato una gara pubblica, ma anche per la riflessione non banale sull’uso della gogna mediatica in politica, allo scopo di abbattere o delegittimare competitori e nemici. Sono parole rilevanti perché il Movimento è stato, negli ultimi anni, uno degli interpreti più attivi di un vizio diffuso ovunque: la criminalizzazione dell’avversario come principale strumento di lotta politica.

 

E’ importante che Di Maio dica “basta” e sarebbe importante che a quel “basta” dessero un riscontro tutti coloro, comunque collocati, che hanno usato le indagini, i processi, ma anche frasi estrapolate dal contesto, brandelli di conversazione rubate per strada e persino l’aspetto fisico o i lapsus dei competitori per orchestrare campagne di discredito e talvolta di intimidazione.

 

Lasciamo fare questo lavoro alla stampa scandalistica. Ai blogger in cerca di like. All’infotainment a caccia di ascolti. Noi – intendo dire noi che siamo in politica, noi che ricopriamo ruoli importanti a Roma e nelle amministrazioni locali – possiamo e dobbiamo fare di meglio. Anche perché, ormai, il gioco della gogna è un esercizio a perdere per tutti: ogni volta che si opera per demolire la reputazione di Tizio o Caio si ferisce la credibilità generale dei partiti e si incoraggia la demagogia del “sono tutti uguali”. Non è solo una questione di garantismo. In questo passaggio storico per il paese è, oserei dire, anche una questione di “patriottismo”. L’assoluzione di Uggetti (e di molti altri amministratori colpiti da indagini clamorose, vedi Virginia Raggi) smentisce due stereotipi che danneggiano gravemente l’Italia nello sforzo di ripresa dopo la pandemia. Il primo interessa la giustizia: ha molti acciacchi, è sicuramente lenta e da riformare, ma abbiamo ancora tribunali capaci di distinguere il grano dal loglio. Il secondo riguarda l’affidabilità di chi gestisce la macchina pubblica: è più alta di quel che si crede, anche se gli amministratori vivono in labirinti burocratici complessi dove è facile incorrere in incidenti di percorso.

 

Sono due elementi che dovrebbero essere valorizzati per uscire dal catastrofismo populista che ci affligge da un decennio e consolida ogni giorno una cultura autodenigratoria insensata, che mina la fiducia dei cittadini in se stessi oltre che nelle istituzioni. Non sono tutti ladri, non sono tutti corrotti, non tutta la giustizia è da buttare (o da santificare), non sono tutti incapaci, ignoranti, trafficoni, l’Italia è un grande paese europeo e non una repubblica delle banane.

 

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