Matteo Salvini (foto LaPresse)

Rischi per il governo

Scordatevi le riforme. Così l'Infiltrato ha gettato la maschera

Giuliano Ferrara

Con la questione delle riaperture ha solo messo un piede davanti agli altri. Ora  è diverso: è in gioco il governo.  Perché è saltato il grado di compatibilità di Salvini con i suoi compagni di strada

Ve l’avevo detto io che Salvini nel governo Draghi era da considerare alla stregua di un Infiltrato. Niente di scandaloso, per carità. Però stare dentro e fuori, con e contro, che è un vecchio gioco di sistema del totip politico italiano, una carambola alla portata di tutte le borse, ha i suoi limiti. Finché il senatore Salvini fa il paladino dei ristoratori e degli imprenditori medio-piccoli, ben venga. E’ una dialettica, malsana, ma lo è. Tutti hanno capito da subito, e i sondaggi pare lo rilevino, che la puntata al rialzo nelle riaperture postpandemiche era solo un modo di mettere un piede davanti agli altri, una volta che si avviavano le decisioni di liberalizzazione e rientro dalle restrizioni. Sai che si è deciso di fare questo e tu giochi d’anticipo, proclami: facciamo subito questo! Vabbè. Invece dire che il governo non è in grado di fare le riforme, per un governo che è nato con la missione specifica di farle, rendendo così possibile un piano ultraquinquennale di investimenti trasformativi e performativi (si dice così, noi resilienti), bè, questo è un altro paio di maniche. 

  

Il paradosso è che l’Infiltrato dice la verità. Che va riformulata così: senza di me, senza l’unità nazionale attiva e coesiva, con un Infiltrato che cerca occasioni di voto e voti, passato dal Papeete a Palazzo Berlaymont senza pagare alcun dazio, con un tipaccio come sono io, le riforme ve le scordate. Non è che uno si infiltra a caso, e poi si butta sul riformismo eurogarantito. Riforme che si vedano, cospicue, sono cose che incidono su interessi, cospicui. Ci vuole un’egemonia, un governo consapevole e di parte, legittimato dal voto, una corazza di coercizione democratica; bisogna saper resistere, insistere, indurre le proteste a desistere, tenere duro nel tempo, stringersi come si dice a coorte. Qui siamo messi male con i ristoratori, a me cari per una vita di frequentazione, siamo messi maluccio con i concessionari della balneazione, con gli ambulanti, e altre categorie in apparenza deboli, figuriamoci quando si fa un salto di pressione e configurazione sociale degli interessi lesi.  

 

Sicché il discorso dell’Infiltrato non fa una piega. E’ invece pieghevole la risposta dei destinatari del messaggio. Il capo del Pd dice: se non vuoi le riforme, esci dal governo. Ma è poco, è tautologico, non politicamente logico. Dovrebbe dire a Draghi: presidente, sia cortese, convochi l’Infiltrato e gli spieghi come stanno le cose, perché se è negata in radice la motivazione dell’esecutivo di unità e salvezza e trasformazione nazionale attraverso le riforme necessarie, allora che ci stiamo a fare, che ci facciamo qui? Se un governo deve vivere per forza, passando forse perfino per la cruna d’ago delle elezioni del capo dello stato, e la sua sopravvivenza vale la totale indisciplina politica, allora vince chi fa la voce grossa, e soprattutto chi sta nel ministero con altri scopi rispetto a quelli di governare l’Italia in una circostanza d’emergenza. Che è appunto quello che succede, e stavolta non sono le proteste degli ambulanti e delle palestre, anche giustificate ma laterali, stavolta è in gioco l’essenza dell’operazione o missione affidata da Mattarella a Draghi e perseguita con meticoloso accanimento, con prudente e saggia capacità di equilibrio, almeno finché l’equilibrio è garantito dai comportamenti. Altro che cabina di regia, qui è in ballo l’autorità del presidente del Consiglio, è in ballo il senso della partecipazione comune alle sorti di una grande avventura politica. Il grado di compatibilità dell’Infiltrato con i suoi compagni di strada è probabilmente già sovresposto, insomma è saltato. Prenderne atto in qualche modo è compito di una politica razionale nella sua prudenza, non cautelosa e irrazionale.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.