Mario Draghi (foto Ansa)

editoriali

No Draghi, nessuno “salta” la fila

Redazione

Se si vaccinano le persone sbagliate è responsabilità di governo e regioni

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha, di nuovo, ricordato che la priorità assoluta deve essere la vaccinazione dei più anziani e dei più fragili. “Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani”, ha detto rivolgendosi a chi somministra i vaccini, per poi ribaltare l’accusa sui cittadini con un’età relativamente giovane. “Questa è la domanda che uno si dovrebbe fare, prima di farla al governo e alle regioni: con che coscienza la gente salta la fila? Sapendo che lascia esposta una persona che ha più di 70 anni o una persona fragile al rischio concreto di morte”.

La riflessione del presidente del Consiglio è sicuramente corretta: vaccinare i giovani impedisce di proteggere i più anziani, e il numero dei decessi quotidiani mostra chiaramente che in Italia abbiamo vaccinato male. Ma la domanda di Draghi è indirizzata ai soggetti sbagliati, chi si fa vaccinare, mentre dovrebbe essere rivolta a chi somministra i vaccini, le regioni e il governo. Siccome i cittadini non si vaccinano da soli, ma vengono convocati sulla base di liste e prenotazioni, e dato che non risultano casi di persone che abbiano fornito dati anagrafici falsi o si siano presentati al centro vaccinale travestiti da anziani, nessun giovane ha “saltato la fila”. Semplicemente è la fila che è stata regolata secondo priorità sbagliate. Siccome le vaccinazioni si basano su raccomandazioni di governo e regioni, non esistono “furbetti” o imbucati (a parte rari casi), ma raccomandati. E’ colpa dei singoli se gli “operatori sanitari” da vaccinare erano 1,4 milioni e poi sono diventati, magicamente, 1,8 milioni?  Se i giovani hanno voglia di vaccinarsi da una malattia come il Covid è una cosa positiva. Manca solo che il rifiuto del vaccino venga ritenuto un atto eticamente lodevole. La protezione dei fragili non può dipendere da un presunto eroismo individuale, ma spetta alle autorità. Appellarsi all’etica individuale appare come il rifugio retorico di chi non riesce a imporre alle regioni il rispetto delle priorità e dei criteri di sanità pubblica.

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