Il premier Mario Draghi parla in conferenza stampa (Ansa)

“Produrre, non bloccare”

La strategia di Draghi sui vaccini è quella dell'Europa

Luciano Capone

Lo scontro con Londra, la fermezza con l’Austria e le accuse ad AstraZeneca. Il premier in sintonia con la Commissione. Sull'export delle dosi, oltre al rispetto dei contratti, servono "reciprocità e proporzionalità"

“Non ne usciremo con i blocchi alle esportazioni, ma con la produzione di più vaccini”. Nella conferenza stampa sulle decisioni prese al Consiglio europeo, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato della strategia vaccinale europea e italiana. La Commissione europea ha stretto le maglie dell’export, che prima era limitato al fatto che la casa farmaceutica non avesse rispettato i contratti, introducendo due ulteriori criteri: “Reciprocità e proporzionalità”. Dunque, spiega Draghi, conta “se il paese destinatario blocca o no” (reciprocità) e se “ha un’alta quota di vaccinati”, in tal caso si può rimodulare l’export (proporzionalità).

 

Questi due nuovi parametri generali tratteggiano un identikit preciso: Londra. Perché il Regno Unito è esattamente un paese che ha ricevuto milioni di dosi dall’Europa (il primo paese per export dall’Ue) ma che non ha esportato una sola dose dai suoi confini (niente reciprocità); inoltre è in una fase più avanzata del piano di vaccinazione rispetto all’Ue (niente proporzionalità). C’è anche un altro grande paese in una situazione analoga, gli Stati Uniti, ma in questo caso c’è una differenza sostanziale: bisogna tenere in considerazione “le catene del valore”. Perché “alcuni vaccini sono prodotti in più punti – spiega Draghi –. In quel caso se si bloccano le esportazioni verso gli Stati Uniti, ad esempio, si interrompe la catena del valore ma anche la produzione dei vaccini”. Insomma, la questione è complessa e le soluzioni non sono affatto semplici. Lo stesso Draghi, che per primo in Europa ha portato allo stop all’esportazione di 250 mila dosi dirette in Australia, ricorda che bisogna fare attenzione perché il protezionismo può essere controproducente se interrompe la catena produttiva globale. In questo senso, non bisogna porre troppa enfasi sui blocchi delle esportazioni, perché dalla crisi pandemica “ne usciremo producendo i vaccini”. Quella del blocco resta un’arma da usare “soprattutto verso società che non rispettano i contratti” e Draghi, senza fare esplicitamente il nome di AstraZeneca (con cui comunque assicura che si vaccinerà, probabilmente la settimana prossima: “Ho fatto la prenotazione e sto aspettando che mi rispondano”), dice che “si ha l’impressione che alcune società si siano vendute le dosi due-tre volte”. Ma, anche nel caso di AstraZeneca e nella crisi con il Regno Unito, si deve evitare il “blocco totale” perché alimenterebbe solo tensioni e ritorsioni politiche. E la strada non è neppure quella legale perché poi “bisogna aspettare gli avvocati”. Bisogna “trovare un accordo”, questa è la via maestra.

 

L’altro tema di cui si è discusso in Europa è una sorta di redistribuzione interna all’Unione europea, proposta dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz, a favore dei paesi che hanno meno disponibilità di vaccini Pfizer. Ma non si può “pensare a un cambio di modello – dice Draghi – la Germania e noi abbiamo deciso di no”. Perché la distribuzione delle dosi vaccinali avviene in base alla popolazione di ogni stato membro, ma alcuni paesi, come l’Austria, “hanno deciso di dare molta più importanza ad AstraZeneca, forse perché costava di meno. Poi Pfizer ha consegnato 66 milioni di dosi su 65, più del previsto, Moderna 10 milioni su 10, AstraZeneca 30 su 120. Ma in Austria la situazione non è drammatica, hanno un tasso di vaccinazioni un po’ più alto del nostro”. Quindi non si può cambiare metodo solo perché qualche paese ha sbagliato gli ordini, è il succo del ragionamento, anche se “si può ovviare alla debolezza in questo trimestre dividendo la quota di 10 milioni di dosi Pfizer in più” in arrivo. Anche sul vaccino russo, rispetto a precedenti dichiarazioni interpretate come l’intenzione di un’imminente fuga in avanti dell’Italia, Draghi commenta: “Starei attento a fare contratti” per Sputnik perché i russi “possono produrre massimo 55 milioni di dosi, di cui il 40% per la Russia”. Inoltre “all’Ema non è stata ancora presentata formale domanda e non si prevede che l’Ema si pronunci prima di tre o quattro mesi. Se va bene, sarebbe disponibile nella seconda parte dell’anno”. Poche dosi, in arrivo in ritardo, quando non ci sarà più scarsità: Sputnik non è una soluzione.

 

Le cose stanno però già migliorando: le somministrazioni stanno aumentando e “l’obiettivo del mezzo milione al giorno in aprile si comincia a vedere con un po’ di probabilità”. Ora, secondo i dati del ministro della Salute Roberto Speranza, siamo a 243 mila vaccinazioni al giorno. “Posso rassicurare che gli italiani avranno tutte le dosi”, afferma Draghi. Anche perché sono stati conclusi diversi accordi, come quello tra Pfizer e la Thermo Fisher di Monza, la produzione di vaccini in Italia “in tre-quattro mesi”. Bisogna guardare “con ottimismo” al futuro, è il messaggio di Draghi, sia in Italia sia in Europa.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali