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Dalla A di Amato alla Z di Zingaretti, l'alfabeto della crisi di governo

Francesco Gottardi

Nomi, parole ed espressioni dello stallo politico. Tra attualità e storia della Repubblica: un breve prontuario

È una tentazione quasi morbosa. 67 crisi di governo dal 1946 a oggi, compresa quella in corso, la 16esima della Seconda Repubblica – che se non altro ha ridotto una ricorrenza fino ad allora più frequente del Natale – e la seconda dell’attuale legislatura. L’Italia, insomma, prima o poi ci ricasca. Con protagonisti che si rinnovano, più alcuni leitmotiv saldi come i muri di Palazzo Chigi. Entrati nell’immaginario di ogni blackout istituzionale. Dalla A alla Z.

    

   

A come "Amato". Ormai è anche un meme e una pagina Facebook. Quando nei giochi di Palazzo c’è aria di vicolo cieco spunta, regolare, il nome dell’ex socialista e oggi vicepresidente della Corte costituzionale. È successo nel 2000, da presidente del Consiglio dopo le dimissioni di D’Alema. Stava per riaccadere nella corsa al Colle del 2015. Un profilo equilibrato, che non piace a tutti ma non dispiace a nessuno. E quindi mai da scartare.

 

B come "Bertinotti". Delle 67 crisi di governo italiane soltanto due sono state di tipo parlamentare, cioè nate con un voto esplicito da parte di una delle due Camere. Ricordate per mano di chi? 1998 e 2008, il doppio sgambetto di Rifondazione al Governo Prodi.

 

C come "conta in Aula". È un momento chiave, la strada che presto potrebbe intraprendere anche Giuseppe Conte: andare alle Camere e verificare se ci sono ancora i numeri per la fiducia al governo. Bypassando, in caso di successo, la manovra di Renzi.

 

D come "dimissioni". Quelle delle ministre Iv Elena Bonetti e Teresa Bellanova e del sottosegretario Ivan Scalfarotto, presentate nella serata di mercoledì al presidente del Consiglio. O in senso lato quella del governo stesso, quando viene meno il rapporto di fiducia con il Parlamento.

 

E come "extraparlamentare" (crisi). Il tipo di frattura più comune nella storia repubblicana italiana. Come quella – finora – in corso, aperta dalla crisi politica all’interno della maggioranza e con Italia Viva a togliere il sostegno al governo. Da enciclopedia: "Si parla di crisi di governo parlamentare quando il governo è colpito da una mozione di sfiducia da parte di una delle due Camere (art. 94, co. 5, Cost.), ovvero quando il nuovo governo non riesce ad ottenere la fiducia iniziale da parte di queste (art. 94, co. 3, Cost.) o, infine, in caso di voto contrario da parte di una Camera quando il governo abbia posto una questione di fiducia (art. 161, co. 4, reg. Senato; art. 116 reg. Camera). In tutti gli altri casi di dimissioni da parte del governo, per il venir meno della maggioranza parlamentare, si parla di crisi di governo extraparlamentari".

 

F come "franchi tiratori". L’origine del termine è militare e ottocentesca, per indicare quei combattenti isolati contro le forze regolari o che comunque si discostano dagli ordini dei comandanti. Per estensione, chi in aula approfitta del voto segreto per discostarsi dal proprio schieramento risultando spesso determinante: si ricordano le mancate elezioni a presidente della Repubblica dei vari Fanfani, Forlani, Prodi. Oppure al contrario – senza temere per l’anonimato – la manovra dei deputati Cesario, Calearo e Scilipoti per tenere in piedi il Governo Berlusconi IV.

 

G come "Goria". Il caso più celebre di dimissioni "congelate" da parte del capo dello stato, con l’obiettivo di rilanciare un nuovo esecutivo. Toccò a Francesco Cossiga, il 13 febbraio 1988, rinviare alle Camere il governo dimissionario di Giuseppe Goria come auspicato da Psi e Dc. Arrivò così la fiducia a un mandato di scopo per la legge finanziaria. Ma meno di un mese dopo Goria avrebbe rassegnato comunque le dimissioni.

  

H come "hashtag". Tra i nuovi megafoni della crisi che galoppa sui social. Gli ultimi hashtag, rilanciati dalle principali forze di maggioranza da Grillo a Zingaretti, sono subito diventati trend topic: #ConTe, #AvanticonConte. E allo spettro opposto #Renzivergogna, tra i più popolari della community di Twitter. Ieri, durante la conferenza stampa, Matteo Renzi aveva accusato il premier di fare un abuso dei social network. “Pensare di risolvere i problemi con un tweet o un post su Instagram è populismo”, ha detto.

  

I come Italia Viva. C’è bisogno di spiegare perché?

  

 

L come "Luciana Lamorgese". Il cavallo di battaglia di Matteo Renzi, extrema ratio per salvare la legislatura. Il leader di Iv ha individuato nel ministro dell’Interno il possibile nuovo premier attorno a cui instaurare un esecutivo allargato. Ma c’è già il veto del Pd.

 

M come "Mes". Gualtieri ha replicato a Italia viva: “Il Fondo salva-stati non ha nulla a che fare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Ma con quello che sta succedendo, altroché. Da centro del dibattito parlamentare a conditio sine qua non imposta dai renziani, questa crisi di governo è la crisi del Mes. Approvato dal governo Berlusconi IV, smentito da Forza Italia – che ha votato no alla riforma dello scorso dicembre –, bistrattato da leghisti e pentastellati, tiepidamente accolto dal Pd.

  

N come "notte". Fonda, per la stabilità politica del governo. Ma soprattutto il momento clou di tutto il Conte bis. Dai vertici pre-dpcm all’ok al Recovery plan, chiuso nel caos fra le ministre di Italia viva e lo stesso premier. Non si dica allora "prendere per sfinimento".

   

O come "opposizione". Quella che aspetta, sul chi va là. Salvini, Meloni, Tajani. E forse una new entry: “Se il presidente del Consiglio ha preso questa linea”, ha detto Renzi al Senato, martedì , “evidentemente è convinto di avere i numeri e va bene così. Si chiama democrazia parlamentare e noi si va all'opposizione”.

 

Massimo D'Alema e Umberto Bossi, i protagonisti del ribaltone del '94: a cena dal 'Senatur', insieme a Rocco Buttiglione, strinsero l'accordo contro Berlusconi (foto LaPresse)

 

P come "patto". Il compromesso per cui continua a spingere buona parte della maggioranza, Zingaretti in testa. E un vocabolo divenuto locuzione storica della Repubblica in più occasioni: dal "patto delle sardine" – a casa Bossi, per far cadere il Berlusconi I – a quello del Nazareno. Chissà quale sarà il prossimo.

  

Q come "Quirinale". Dove si è sempre giocato – e si giocherà – il finale di partita. Conte ha già incontrato Mattarella mercoledì per un aggiornamento formale sulla situazione, ma la salita al Colle decisiva è quella di oggi. Sia in caso di dimissioni, sia nel caso di una nuova maggioranza sostenuta dal Parlamento.

 

R come "rimpasto". Quel tourbillon politico che, a fronte di alcune defezioni nella maggioranza (Italia Viva), consente al governo di rimanere in piedi grazie a un rinforzo provvidenziale, i fantomatici "responsabili" su cui punta Conte, un'altra "R" di questo alfabeto. Avremmo potuto scegliere anche questa parola. Ma il Pd in mattinata ha fatto sapere che non ci sono.

  

S come "salvezza nazionale" (governo di). “L’unica strada percorribile”, l’ha chiamata il leader di Azione Carlo Calenda. Un governo di scopo, con tutti dentro – da Fratoianni a Salvini, magari con Draghi a capo, sogna qualcuno – per amministrare il Recovery fund e affrontare collettivamente la crisi che sta colpendo il paese. Auguri.

  

 

T come "trasformismo". Quello dei politici: ex comunisti alla Lega – Bossi –, missini della prima ora con i tecnocrati – Fini –, prima di tutto in divenire – Mastella – e quindi sempre appetibili aghi della bilancia. Ma anche quello di cui ha bisogno questo governo per sopravvivere.

  

U come "unità". Non il quotidiano di Gramsci, ma l’appello di Prodi, Grillo e di tutti i veterani che, dietro alle quinte, richiamano all’ordine le rispettive truppe. Sforzo vano, per ora.

  

V come "vietcong". Usato qui come sinonimo di "responsabili", cioè quei senatori pronti a uscire allo scoperto, come i famosi guerriglieri dalla macchia. A proposito di Mastella: “Posso dare il mio contributo, fare il regista”, ha dichiarato al Corriere della Sera il sindaco di Benevento e marito di Sandra Lonardo, senatrice del gruppo misto che potrebbe ergersi a capofila dei responsabili. “I vietcong ci sono, state tranquilli. Di certo non mi candiderò più: il mio è un atto d’amore nei confronti del Paese”. Amen.

   

Z come "Zingaretti". Il sorriso incrinato del paciere a tutti i costi. Ha cercato fino all’ultimo di far ricucire i due litiganti – appoggia Conte, non chiude a Renzi –, ma le dimissioni delle ministre di Italia Viva hanno fatto crollare tutto e reso possibile ogni scenario. Anche perché il suo Pd, in caso di elezioni, sarebbe quello che avrebbe forse meno da perdere, tra le forze di maggioranza. Guardarsi sempre dall’ira dei buoni.

  

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