Dopo il voto

Come far dialogare Sì e No per un Parlamento efficiente

Gli interventi su su regolamenti parlamentari e bicameralismo

Costituzionalisti e politici a confronto sul possibile percorso comune. Parlano Ainis, Curreri, Magi, Ceccanti

    I Sì hanno vinto con il 69,5, ma i No si sono relativamente affermati con una percentuale non risibile (30 per cento). Si può, a questo punto, rendere il percorso comune, in modo che alla fine, comunque la si pensi, ne esca un Parlamento più efficiente? E quali sono i provvedimenti più urgenti da prendere lungo la possibile via del dialogo? “Penso che il Parlamento italiano abbia bisogno di una cura di vitamine e ho votato Sì”, dice il costituzionalista Michele Ainis, docente all’Università Roma Tre, “ma penso che ora il Sì debba farsi carico delle preoccupazioni del No”. Per esempio, sul “possibile deficit di rappresentanza in alcuni territori”. Ed è fondamentale, dice Ainis, “intervenire attraverso la nuova legge elettorale per eliminare le liste bloccate. Questo è il primo provvedimento da prendere per dare più potere agli elettori. Il secondo è togliere il quorum al referendum abrogativo”.

     

    Per Salvatore Curreri, docente di Diritto costituzionale e comparato all’Università di Enna “Kore”, “l’affermazione netta dei Sì pone il tema dell’approvazione di quelle che i suoi sostenitori hanno chiamato integrazioni e i sostenitori del No correzioni. Intanto, la riduzione da tre a due – per ogni regione, tranne la Valle d’Aosta – del numero dei delegati regionali chiamati a eleggere il presidente della Repubblica, in modo da ridurne il numero complessivo e mantenere l’originaria proporzione con gli altri parlamentari. Io penso però che questa riforma non sia così urgente: il maggior peso percentuale che hanno i delegati regionali non altererebbe gli equilibri politici delle Camere, e anzi il loro peso nell’elezione del presidente della Repubblica garantirebbe l’unità nazionale anche in senso territoriale”.

     

    Quanto alla seconda riforma in discussione, quella che riguarda l’abolizione della base regionale che oggi caratterizza l’elezione del Senato, dice Curreri, “si ovvierebbe al fatto che, con la riduzione approvata, il numero dei senatori da eleggere in alcune regioni sarebbe minimo, ma allora si dovrebbe tenere conto anche del fatto che, con circoscrizioni pluri-regionali e regioni di popolazione non equivalente, la regione maggiore potrebbe aggiudicarsi tutti i seggi”. Sulla terza riforma, dice Curreri, quella che riguarda “la parificazione dell’elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato, in modo da uniformare le età per votare ed essere votati, penso che questo formalizzerebbe l’eliminazione dei pur marginali elementi di differenziazione esistenti tra le medesime Camere: si andrebbe verso la formalizzazione di un monocameralismo già di fatto esistente. E di qui si arriverebbe a chiedersi: perché devono esistere due Camere completamente uguali che fanno le stesse cose, e perché non trasformare il Senato finalmente in camera di rappresentanza territoriale?”. Intanto però, dice Curreri, la prima vera urgenza è la riforma dei regolamenti parlamentari, per non ritrovarsi “nell’immobilismo, soprattutto al Senato”. 

     

    È il problema sottolineato anche da Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa ed esponente del comitato per il No: “Non si riuscirebbe a lavorare”. Magi ha proposto intanto una modifica al regolamento “per rendere sicura la discussione delle leggi d’iniziativa popolare” e una proposta di legge costituzionale sulla modifica dell’articolo 138, “per rendere sempre possibile la richiesta di referendum per le leggi di revisione della Costituzione”.

     

    Stefano Ceccanti, costituzionalista e capogruppo pd in commissione Affari costituzionali della Camera, schierato per il Sì, suggerisce di percorrere una strada “più realistica” rispetto al fallito referendum del 2016, e di dialogare “lungo la linea dei correttivi individuati dall’ex giudice costituzionale Enzo Cheli”, sul Parlamento in seduta comune come terza camera, e “sulla proposta dell’ex presidente della Camera Luciano Violante sul bicameralismo differenziato”.