Nel Pd c'è chi pensa che la mafia sia un videogioco

David Allegranti

Il deputato Carmelo Miceli presenta un'interrogazione contro "Mafia City": "Subdolo strumento di propaganda mafiosa e di istigazione alle pratiche delinquenziali". Persino il M5s lo sfotte

Roma. Prendersela con i videogiochi - accusandoli di “incitare alla violenza” - è un esercizio ciclico compiuto dai politici, specie dopo qualche episodio di cronaca nera trasformato dai media pigri in allarme sociale sui giovani debosciati. C’è però chi è riuscito ad andare oltre. Domenica 26 luglio, il deputato Carmelo Miceli, responsabile Sicurezza del Pd, ha annunciato in un post - ripreso e rilanciato dagli account del Pd - che presenterà una interrogazione parlamentare contro un temibile videogioco nato per plagiare giovani e giovanissimi, MafiaCity: “In queste ore sta girando molto sui social la pubblicità di uno schifoso videogame chiamato MafiaCity. Parliamo di un gioco al quale stanno partecipando milioni di ragazzini (la pagina Facebook ha abbondantemente superato 1 milione di like!) che calandosi nei panni di un boss, tra saccheggi, occupazioni, pestaggi e omicidi puntano a fare diventare il proprio Clan tra i più forti della ‘mafia italiana’ e a ottenere il titolo di Capo dei Capi”.

   

 

Per Miceli è un “subdolo strumento di propaganda mafiosa e di istigazione alle pratiche delinquenziali che dà una accezione positiva della ‘mafia’ e del ‘padrino’ e che rischia di corrompere le giovani generazioni. Cosa che da siciliano, cittadino italiano e da componente della Commissione parlamentare Antimafia non posso accettare”. Per fortuna, il deputato Miceli è lì che vigila sui ragazzi per evitare che da domani inizino a cercare su Google “come diventare mafioso” e a pubblicare roba strana su TikTok (chessò, i lip-sync di Totò Riina).

  

C’è da supporre, peraltro, che il deputato Miceli ampli il raggio del proprio intervento: perché fermarsi solo a Mafia City? “Fate qualcosa anche contro Lara Croft, fermate il saccheggio sistematico di tombe e sepolcri, difendere il patrimonio artistico italiano”, dice lo sceneggiatore Francesco Artibani su Twitter. Il deputato Miceli, per intanto, ha detto che “già da lunedì”, cioè da oggi, depositerà l’interrogazione parlamentare per “accertare come sia possibile che un gioco così immorale sia libero di circolare sui social italiani e ne chiederò immediatamente l’oscuramento”. 

 

Poi, si suppone, si passerà ai libri. C’è da sperare che il deputato Miceli non legga mai un libro di Bret Easton Ellis (come American Psycho) perché potrebbe scoprire che il protagonista è un serial killer che di giorno fa i quattrini, sporco capitalista che non è altro, e la notte la gente a pezzi e poi la mette nel frigorifero, con il povero lettore che non ha chiaro fino in fondo se si tratti di allucinazioni o di gente squartata per davvero (per davvero nel romanzo, deputato Miceli, non per davvero nella realtà).

   

Non è la prima volta che il Pd scambia la finzione per realtà. Nel 2013 successe qualcosa di analogo con il gioco da tavolo Monopoly. Sette parlamentari del Pd scrissero una lettera, via Corriere della Sera, all’ambasciatore americano, per dire che la nuova versione inneggiava alla “finanza irresponsabile”: “In questi giorni, e contraddicendo la chiave etica del presidente Obama, l’azienda statunitense Hasbro starebbe per lanciare la nuova versione dello storico gioco da tavolo Monopoly. Stavolta però le tradizionali proprietà immobiliari sono sostituite da pacchetti azionari di grandi multinazionali. Si passa dall’acquisto di immobili alla speculazione in Borsa e inoltre, novità decisamente preoccupante, sarebbe stata abolita la casella della ‘prigione’”, scrivevano i parlamentari. Sembrava una lettera finta, invece era verissima, e puntava a salvare generazioni di futuri speculatori dal proprio destino. “Le interrogazioni parlamentari sui videogiochi e sui giochi da tavolo dovrebbero essere semplicemente inammissibili”, dice Francesco Berti, deputato del M5s. Avete letto bene, del M5s. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.