(foto LaPresse)

No, occuparsi del virus non è un modo per darla vinta al governo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore -Pensi di aver fatto un affare poi ti fregano sempre con le commissioni.

Giuseppe De Filippi


Al direttore - Ho due impressioni... numero uno: ogni volta che Fontana parla fa danni a se stesso. Numero due: la mitica procura di Milano lo ringrazia perché fornisce più elementi di accusa lui rispetto a quelli in mano agli inquirenti, “forse” il suo bravissimo avvocato dovrebbe imporgli il silenzio. Per ora a salvarlo c’è l’opposizione cosiddetta che ha paura di votare. Perderebbe ancora.

Frank Cimini


Al direttore - Ha ragione, caro Cerasa: mi chiedo come si faccia a essere così politicamente (e non solo) stupidi e fare del non indossare la mascherina una battaglia politica?

Pasquale Annichino 

 

Quello che stupisce da parte dei cialtro-libertari che stanno provando a trasformare il no alle mascherine in una grande battaglia in difesa della libertà è che i cialtro-libertari non capiscono una cosa semplice: non fare tutto ciò che è necessario per proteggersi dal virus non è solo un problema che riguarda noi stessi ma è anche un problema che riguarda gli altri. E più la copertura si abbassa e più chi è debole rischia di passarsela male. Dunque se ne conviene che chi gioca con le mascherine e si rifiuta di rispettare le regole non sta portando avanti una battaglia in difesa della libertà ma sta portando avanti una battaglia finalizzata a dimostrare una verità alternativa: occuparsi ancora del virus è solo un modo per darla vinta a chi ci governa. Di questo parliamo. E a questo siamo arrivati. Servono commenti?


 

Al direttore - Marco Bentivogli è un bell’acquisto per il Foglio che già in passato, intelligentemente, gli aveva dato spazio. Il saggio di lunedì 27 – prima espressione di peso dopo il suo abbandono della Fim-Cisl e del sindacato – è di grande respiro culturale, inquietante in molte analisi ma, a mio giudizio, stranamente carente nel considerare il ruolo dei lavoratori e del sindacato nella complessa e difficile realtà del nostro tempo, con le strutture produttive sottoposte a continue, e spesso radicali, trasformazioni dal dilagare delle tecnologie informatiche. Una carenza che mi ha colpito perché, in una intervista con lui, pubblicata nel gennaio 2017 su Studi Cattolici, Bentivogli diceva: “La rivoluzione digitale, parte fondamentale della quarta rivoluzione industriale, cambia la prospettiva in cui si collocano lavoratori e lavoro. La Fim-Cisl da tempo propone la concezione del lavoratore protagonista che veda valorizzato il suo contributo creativo; dunque non più ingranaggio anodino, ma attore partecipe e responsabile”. Sarebbe interessante conoscere se quelle idee Bentivogli le considera ancora valide. E in caso affermativo, se lo siano anche i modi e gli strumenti da usare nelle complesse e dure realtà nazionale, Europea e mondiale.

Nicola Guiso 

 

Ne ha scritto tanto e ne continuerà a scrivere dalle colonne di questo giornale. E nel caso specifico ciò che Bentivogli ha ben inquadrato relativamente al mondo del sindacato è piuttosto chiaro. “Non puoi predicare largo ai giovani e fare di tutto per tenerli lontano dall’impegno a partire dallo spazio che tu stesso devi lasciare. Invecchiare nel sindacato se fa invecchiare il sindacato è un errore che non deve fare nessuno e non deve consentire nessun corpo intermedio. Essere credibili significa avere un buon rapporto di correlazione tra ciò che si pensa, ciò che si dice e ciò che si fa. E questo anche proprio il consenso fanatico e pigro è la condizione più favorevole per non essere mai verificati”. Tradotto: il sindacato può fare un salto di qualità nel futuro se sceglie di difendere il diritto al lavoro e non solo il lavoro di chi è iscritto al sindacato. E occhio al Foglio di domani.


 

Al direttore - Ad fontes redeunt longo post tempore lymphae. Dopo l’adozione da parte del Partito repubblicano italiano (Pri), anche il Partito liberale italiano (Pli), ha determinato di riconoscersi nella definizione di antisemitismo dell’Ihra, adottandola nella sua interezza. Il valore del diritto all’esistenza pacifica e alla sicurezza dello stato d’Israele è abbracciato dai partici storici. Ancorché ora minoritari nella stagione della politica maggioritaria, i liberali e i repubblicani sono legati al Risorgimento italiano e all’instaurazione della democrazia costituzionale post fascismo. A entrambe le cause, il contributo dell’ebraismo è stato significativo. Promuovere l’adozione della definizione Ihra è fondamentale. Essa fissa dei parametri univoci per definire l’antisemitismo ed equipara antisemitismo e antisionismo, smarcandosi così da equivoci e misinterpretazioni, che mascherano l’ostilità verso gli ebrei dietro lo schermo della critica allo stato di Israele.

Barbara Pontecorvo


 

Al direttore - Sulla proroga dello stato di emergenza la verità è che Giuseppe Conte ci ha preso gusto a governare con i dpcm e tenere gli italiani in allerta permanente . E’ solo un trucchetto per ottenere visibilità, ma siamo sicuri che sia costituzionale? Il dubbio è di Sabino Cassese, non di Topo Gigio. In tutta Europa non c’è nessun altro paese che abbia prorogato lo stato di emergenza, quindi stiamo dicendo al mondo che siamo il focolaio d’Europa. Ottimo.

Felice Antonio Vecchione 

 

Lo stiamo dicendo solo se lo diciamo. A meno che – e non è ovviamente quello che pensa e quello che scrive il sempre perfetto professor Cassese – non si voglia dire, come mi sembra voglia fare l’opposizione, che fare di tutto per tenere l’Italia in sicurezza sia un modo per dire che l’Italia non è sicura.


 

Al direttore - Siamo tutti ridotti a grattare il fondo del barile del populismo della pancia. Ciascuno gratta il proprio. Sarebbe molto utile, opportuno attrezzarsi culturalmente e operativamente per il “dopo”. Arriverà, ineludibile, implacabile, Sulla scena troneggia, invece, la gestione arruffata del “carpe diem”. La democrazia dell’emergenza, come modus operandi, è creatura oscenamente antidemocratica.

Moreno Lupi

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