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Trollare i populisti con le stesse tecniche usate dai nostri figli

Claudio Cerasa

Il metodo TikTok è una grande lezione sulla reversibilità del male

Diversi anni fa, Marshall McLuhan – che ha malamente contribuito alla formazione di migliaia di studenti laureatisi in Scienze della comunicazione, prima che Facebook, Twitter, Instagram e TikTok diventassero manuali sociologici ben più interessanti di quelli distribuiti nelle facoltà – divenne famoso per aver teorizzato una tesi un po’ grossolana che negli anni ha influenzato il dibattito pubblico del nostro paese. Quella tesi mirava a sostenere il principio che il medium fosse il messaggio e che in altre parole ogni nuovo mezzo di comunicazione crea nell’immaginario collettivo un certo tipo di effetto indipendentemente dai contenuti dell’informazione che di volta in volta vengono veicolati. Sulla base di questo principio, negli ultimi anni, la rete si è cominciato a osservarla con un certo sospetto (chiudere internet!) e la coincidenza temporale tra l’esplosione dei social network e l’esplosione del populismo ha dato a molti la possibilità di rivangare le vecchie tesi di McLuhan: se il messaggio più veicolato da un medium è pessimo significa che a essere pessimo è quel medium.

 

Gli ultimi mesi, i mesi della pandemia, durante i quali i social hanno dato il meglio di sé, sconsigliando sempre più spesso gli articoli derivanti da fonti non affidabili, bandendo dai propri store le app che provavano a speculare sull'emergenza sanitaria, eliminando i video complottisti dai principali risultati di ricerca, castigando gli istigatori di violenza anche a costo di scendere in campo contro le minchiate dei potenti, ci hanno dimostrato che la tesi di McLuhan altro non era che una tesi un po’ sempliciona. E come dimostra l’incredibile storia degli utenti di TikTok che hanno provato a sabotare il comizio a Tulsa di Trump (migliaia di ragazzini hanno prenotato in anticipo molti biglietti per l’ultimo comizio di Trump e poi non si sono presentati), la meraviglia dei social network è che il messaggio dominante veicolato dal medium non è affatto predefinito ma è affidato alla creatività di chi lo popola.

 

TikTok, formidabile e giovanissimo social network governato da brevi clip musicali che i più grandi tendono a usare con la stessa dimestichezza con cui uno scimpanzé utilizzerebbe una macchina da scrivere, ci ha ricordato che la tesi del medium che diventa esso stesso un messaggio è una tesi che smette di essere tale nel momento in cui i più grandi capiscono dai più piccoli che per combattere i troll della politica occorre semplicemente prendersi meno sul serio e iniziare a masticare il linguaggio dei troll. La storia del trollaggio contro Trump (il comizio di Tulsa è andato male indipendentemente da TikTok) è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più interessante, che chiunque scelga ogni tanto di curiosare sull'account di TikTok di Salvini avrà notato chissà quante volte (Salvini, su TikTok, ha denunciato lo scandalo dell’inno di Mameli cantato male durante la finale di Coppa Italia, e diversi utenti hanno risposto al Capitano provando a trollarlo più o meno così: “Amò, lo so che sei abituato a ballare l’inno con le cubiste ma non credo sia il caso durante la Coppa Italia”).

 

Trollare i populisti come farebbero i nostri figli, usando cioè le armi e il linguaggio dei troll della politica per diffondere messaggi del tutto opposti, che è più o meno quello che fa ogni giorno Giuseppe Conte con il Movimento 5 stelle, è forse la chiave di volta dell’antipopulismo del futuro. E se vogliamo il manifesto della nuova stagione del medium plasmato in base al contenuto del messaggio è tutto in un famoso video di qualche mese fa in cui una ragazza cinese, di nome Feroza Aziz, per dribblare la censura cinese ha iniziato un video spiegando i segreti del make-up e poi lo ha concluso spiegando ai suoi follower i segreti delle violenze subìte dalla minoranza musulmana degli uiguri in Cina. “The Coalition of the Decent – ha twittato tre giorni fa in riferimento al trollaggio dei tiktoker contro Trump Steve Schmidt, un esperto di comunicazione di area repubblicana, che in passato ha lavorato nelle campagne di George W. Bush e John McCain – sta attaccando e vincendo. Trump è stato messo a nudo. E’ nudo ed esposto a tutti. E ora sta andando giù”. E forse, anche contro i populismi all’amatriciana, una Coalition of the Decent, capace di trollare i populisti come farebbero i nostri figli, potrebbe fare al caso nostro. Chissà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.