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Cosa prevedono il dpcm e il decreto legge sulla fase 2

Rocco Todero

Analisi ragionata delle ultime misure legislative del governo: torna la libertà di riunirsi e la possibilità di andare al ristorante. Ma per le audizioni nelle Aule di Giustizia è ancora tutto fermo

Per gestire la seconda parte della cosiddetta fase 2 di convivenza con il coronavirus, il governo guidato da Giuseppe Conte ha messo in campo, in rapida successione, un nuovo decreto legge e l’ennesimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Con il primo provvedimento, l’esecutivo ha cercato di riscrivere la cornice dei princìpi fondamentali all’interno della quale governo e regioni potranno intervenire per modellare, secondo le eventuali necessità, l’esercizio delle libertà costituzionali dei cittadini. Con il dpcm, invece, sono state disciplinate nel dettaglio le modalità di esercizio delle attività non più sospese e i margini d’intervento autonomo riservati alle regioni.

 

Grazie ai dati epidemiologici delle ultime settimane, da un lato, e alle condizioni dell’economia nazionale, dall’altro, il governo ha deciso che fosse giunto il momento d’intraprendere il cammino verso un regime ordinario di convivenza con la pandemia. E del resto, è lo stesso principio di proporzionalità, al quale Conte ha sempre dichiarato di volersi ispirare, a esigere misure meno drastiche al sopraggiungere di condizioni meno pericolose per la salute umana. Sebbene, sotto questo profilo, siano rimasti ancora una volta coperti dalla segretezza le valutazioni tecnico scientifiche, pur citate nel dpcm, che avrebbero ispirato le misure da ultimo adottate dall’esecutivo.

 

Rimane fermo, naturalmente, il meccanismo di rilevazione giornaliera dei dati di diffusione della pandemia, dei ricoveri e dell’occupazione di posti in terapia intensiva, pensato per apprezzare costantemente il grado di rischio di peggioramento delle condizioni epidemiologiche all’interno di ciascuna regione e la capacità del sistema sanitario regionale  di potervi fare fronte.

 

A beneficiare della nuova disciplina sono state soprattutto la libertà di circolazione e quella di riunione. La prima ha riacquistato massima espansione all’interno delle singole regioni già a partire da lunedì 18 maggio, mentre dal 3 giugno sarà possibile spostarsi sull’intero territorio nazionale senza limitazione alcuna, se non quella che dovesse sopraggiungere, con decreto del presidente del Consiglio, per fronteggiare peggioramenti locali delle condizioni epidemiologiche. Anche gli spostamenti da e per l’estero, a partire dal 3 giugno, saranno consentiti, senza alcuna limitazione, con riferimento però agli stati membri dell’Unione europea, a quelli dell’area Schengen, al Regno Unito di Gran Bretagna e all’Irlanda del nord. Per le persone che provengono da paesi diversi da quelli appena elencati è prevista, sempre a decorrere dal 3 giugno, solo la misura dell’isolamento per la durata di 14 gironi dal momento in cui fanno ingresso nel territorio nazionale.

 

Fermo il divieto di assembramenti, il decreto legge restituisce dignità, come detto, alla libertà di riunione che potrà essere esercitata nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro e delle ulteriori prescrizioni eventualmente impartite dal questore ai sensi del Testo unico delle leggi sulla pubblica sicurezza. La norma è molto importante perché riabilita i cittadini a una facoltà che incide sulla forma di stato e sulla possibilità di manifestare pacificamente dissenso nei confronti del governo o di qualsiasi  diversa autorità pubblica.

 

Anche la libertà di esercitare i culti religiosi torna a espandersi in ossequio alle garanzie costituzionali, con l’unica e comprensibile limitazione di osservare le prescrizioni indicate nei protocolli (sette in tutto) sottoscritti fra il governo e le confessioni religiose. Si tratta di indicazioni di puro buon senso, che attengono alla limitazione della capacità di contenimento degli edifici di culto, alla distanza di sicurezza interpersonale, alle norme igieniche, sebbene non manchino imposizioni sui generis come quelle che disciplinano le modalità di celebrazione della comunione per i cattolici.

 

Riaprono quasi tutte le attività economiche, ad eccezione di centri benessere, centri  termali, impianti nei comprensori sciistici, sale  giochi, sale  scommesse  e sale bingo.

 

Per tutte le imprese produttive industriali, commerciali, turistiche e ricreative (compresi ristoranti, alberghi, stabilimenti balneari) il Presidente del Consiglio ha previsto una disciplina, prolissa, ampollosa e ripetitiva, che rinvia a numerosi e verbosi protocolli d’intesa il cui contenuto potrebbe, tuttavia, riassumermi in pochissime battute: tenere la distanza interpersonale, indossare le misure di protezione, badare all’igiene con maggiore frequenza, controllare la febbre a operatori e utenti.

 

Per le attività dei servizi di ristorazione, per quelle inerenti ai servizi alla persona e per le attività degli stabilimenti balneari è prevista, tuttavia, una disciplina del tutto particolare che incide sui rapporti fra stato e regioni. Le predette imprese, infatti, possono riprendere le ordinarie attività solo se “le  regioni  e  le  province   autonome   abbiano preventivamente accertato la compatibilità dello  svolgimento  delle suddette attività con l'andamento  della  situazione  epidemiologica nei propri territori”. Spetterà alle regioni, pertanto, il compito di effettuare una valutazione tecnica ampiamente discrezionale che, se da un lato, risponde all’esigenza di articolare la disciplina di contrasto al coronavirus, sulla base del criterio della differenziazione territoriale, dall’altro, sembra rimanere orfana dei criteri tecnici che dovrebbero fungere da linee guida, in assenza della conoscibilità dei giudizi e delle eventuali prognosi cui è giunto il comitato tecnico scientifico istituito presso la Protezione civile.

 

E’ auspicabile, infatti, che la differenziazione territoriale si regga esclusivamente sulla constatazione di una differente intensità di sviluppo della pandemia e non anche sulla differente valutazione della pericolosità dei dati che si registrano all’interno delle diverse regioni. Continuano a rimanere  chiuse le scuole di ogni ordine e grado e la decisione del Governo può trovare giustificazione solo nella considerazione secondo la quale lo svolgimento delle attività didattiche non consente il rispetto di alcun distanziamento sociale minimo a vantaggio di alunni e insegnati.

 

Tanto nel decreto legge, quanto nel dpcm, infine, non si fa cenno alla ripresa ordinaria delle attività della Giustizia, cosicché, solo per fare un esempio, si potrà andare al ristorante ma non si potrà pretendere la discussione orale degli avvocati nel corso di un giudizio davanti al Tar o al Consiglio di stato. Rimediare.

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