Domenico Arcuri (foto LaPresse)

Il buon esito della fase due non dipenderà solo dai cittadini, caro Arcuri

Antonio Pascale

App, test e altre piccole richieste per giocare di squadra

Anche a voi capita di indispettirvi, vero? Voglio dire, state chiusi in casa da tempo immemorabile, guardate la tv e arriva, che so, una frase che vi urta la nervatura. Per esempio, Domenico Arcuri. Ha tanto da fare, e magari non ha fatto scuola di comunicazione, nemmeno si occupa di scienze comportamentali, quindi la mette giù dura. A “Che tempo che fa” ha dichiarato che il buon esito della fase due dipenderà dai cittadini. E dagli. E no! Ancora? Come dai cittadini? Frasi come queste mi appesantiscono, e il futuro si abbruma. Che altro possiamo fare? Meglio di così. Chi all’inizio avrebbe scommesso nella buona tenuta della grande chiusura? Io no. Prevedevo scampagnate, gite al mare, fiumi di gente che uscivano per suonare e sbattere pentole. E invece, tranne eccezioni, qualcuno che se ne è andato in giro nudo (tutta la mia simpatia), ha prevalso il suono del silenzio.

 

Il cittadino italiano ha fatto tutto da solo e soprattutto, per molti aspetti, è stato lasciato solo. Magari confuso da un eccesso di informazioni o al contrario gli sono state negate altre e più importanti informazioni (i nuovi positivi nella Rsa e nei nuclei familiari: tutti a prendersela con il runner e invece…). Allora, per la fase due, cari tecnici, responsabili della task force metteteci nelle condizioni di affrontare maggio e giugno senza altri pesi e con minime responsabilità. Minime sì. Datemi strumenti che non mi appesantiscono (tracciamento dei contatti, tamponi garantiti, comprate ettolitri di reagenti). Siete lì per questo. Finora in fondo abbiamo chiuso tutto, dunque poche mosse e via. Ora, lo sapete, bisogna riaprire, e va considerata la complessità della vita. Perché ripartire significa garantire la vita. Ai ragazzi soprattutto. Non ai 50enni e passa come me. Quelli stanno buttati sul divano, capirai.

 

Sono stati bravissimi i ragazzi, niente fidanzate, in bianco per mesi e niente fughe. Fosse successo a me, a 20 anni, quando ascoltavo i Sex Pistols con annessa maglietta no future, sarei fuggito dalla finestra. Perché è così che si fa. Essere giovani significa andare fuori, buttarsi, sperimentare, perché è fuori di casa che si costruisce una casa. Ora, se come cittadini gli diamo più responsabilità e tante colpe e tante regole, se non possono andare al bar, a scuola, in treno, in viaggio, capite bene che stiamo sempre nella fase uno, tutto chiuso ad libitum e appunto, no future per davvero. Mica vogliono creare una generazione di persone disabituate a uscire e che si lavano le mani fino a farle sanguinare? Ci deve essere un modo per celebrare la vita e dunque strumenti che permettono questa celebrazione in sicurezza. Quindi quando abbiamo la palla (e il campo da gioco ora non è certo ideale) giochiamola in maniera fantasiosa e non ovvia, non scarichiamola mollemente sui cittadini. La celebre lezione di Julio Velasco. Lo schiacciatore schiaccia fuori e dice all’alzatore: la voglio più vicina. Allora il palleggiatore dice ai ricevitori: voglio la palla qua. I ricevitori non sanno con chi prendersela e quasi dicono agli avversari batti bene, se no come faccio? La regola di Velasco è: lo schiacciatore non parla dell’alzata, ma la risolve. Schiacciatori che schiacciano bene palloni alzati male è l’optimum per il gioco di squadra. In fondo, non c’è nulla che è ideale, soprattutto ora. Che dite? Proviamo a fare la nostra parte e risolvere la battuta?

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