Anche il sovranismo è molto influenzato
Il ritorno dei media mainstream, i muri che non servono, i mercati come cure. Tre storie esemplari sul coronavirus ci insegnano che per alzare le difese immunitarie della globalizzazione occorre denunciare con forza tutte le bufale della post verità
-
La Cina, ancora prima di riconoscerlo, ha censurato il virus sui social
-
Il virus del calcio
-
Emergenza coronavirus, chi offre di più?
-
La Fed con l'accetta contro il coronavirus
-
Dalla sicurezza al benessere, chi tutela gli interessi nazionali
-
Epidemia televisiva
-
Più vaccini, meno Spinelli
-
Medici disertori e aziende traditrici. Come nascono le fake news della pandemia
Un articolo molto bello pubblicato ieri dal New York Times, scritto da un professore di Filosofia di nome Michael Marder, introduce nei ragionamenti legati alle conseguenze del coronavirus uno spunto di riflessione nuovo, gustoso e interessante, che ci permette di capire in che senso la storia del virus che sta purtroppo conquistando il mondo ci dice molto non solo della nostra capacità di governare un’epidemia ma anche della nostra capacità di capire il mondo all’interno del quale viviamo. Il coronavirus siamo noi, scrive il New York Times, perché, esattamente come il virus, tutti noi viviamo in un mondo interconnesso, dove i confini sono porosi, dove le barriere non esistono e dove le frontiere sono più simili a membrane viventi che a muri possenti. Ma il coronavirus siamo noi anche per un’altra ragione che vale la pena esplorare e che riguarda un ragionamento non banale che fotografa bene un fenomeno che la diffusione dell’influenza cinese sta rendendo se così si può dire virale.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitaleLe inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioniOPPURE
- Claudio Cerasa Direttore
Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.