Andrea Romano (LaPresse)

Andrea Romano ci spiega perché il Pd arriva ultimo sulla critica al capitalismo

David Allegranti

“Ovunque ci sono rivolte contro il populismo. Penso che la morte della democrazia sia stata leggermente sopravvalutata. Bisogna capire il ruolo della sinistra in questo orizzonte”

Roma. “Il Pd deve rafforzare il suo profilo riformista e non deve tradire la propria missione storica: parlare a tutti gli italiani e non solo al mitologico ‘popolo di sinistra’, ammesso che si capisca cosa sia nel 2019”, dice al Foglio Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, che venerdì e sabato terrà a Milano la sua seconda assemblea nazionale. L’appuntamento arriva a pochi giorni dalla convention lanciata da Nicola Zingaretti e Gianni Cuperlo a Bologna. “Io credo che ci siano tutti i presupposti per porre le basi – mentre si comincia a intravedere il tramonto della stagione del populismo trionfante – di un ordine politico-culturale post-populista. Lo vediamo in tutto il mondo, da Hong Kong alla Gran Bretagna, dalla Germania all’Italia agli USA. Ovunque ci sono rivolte contro il populismo. Penso, anche per questo, che la morte della democrazia sia stata leggermente sopravvalutata. Non sto dicendo che vada tutto bene, ovviamente, ma che si inizia a intravedere la fine dell’arrembaggio populista e l’inizio di una stagione post-populista. La domanda che ci dobbiamo fare adesso è: come sta la sinistra in questo orizzonte? Qual è il suo ruolo?”.

 

Ecco, osserva Romano, “a Bologna è emerso con forza il tema della critica al capitalismo. Per carità le critiche ci stanno, il capitalismo non è una religione. Ma il mio timore è che se la sinistra italiana risolve la propria identità tutta sulla critica al capitalismo, come è sembrato a Bologna, ci condanniamo ad occupare uno spazio piccolo, residuale, subalterno. Su questo punto tra Base Riformista e quella parte della maggioranza zingarettiana che sostiene l’opportunità di una radicalizzazione anticapitalista c’è una chiara distanza culturale. Con quella visione, la sinistra rischia di avere uno spazio marginale nella sfida post-populista”. Peraltro, dice Romano, “la sinistra italiana non si è mai esaurita nella critica al capitalismo. E l’agenda populista si regge anch’essa su una forte critica al capitalismo, per cui rischieremmo di arrivare buoni ultimi (confondendo la destra populista con la più classica destra liberista, da cui è invece lontanissima)”.

 

Insomma, Base Riformista come vuole stare dentro questo dibattito? “La sinistra italiana può e deve costruire un nuovo patto con gli italiani, tenendo insieme da una parte il tema dei diritti – civili e sociali – e dall’altra il tema della crescita e del lavoro. Se non contrapponiamo al populismo questi due pilastri politici – che vanno tenuti insieme – non riusciremo mai a guidare la stagione post-populista. Non ci possiamo chiudere nell’angolo della critica al capitalismo. Il binomio diritti e crescita/lavoro invece parla a tutti gli italiani: da una parte i ceti urbani, il ‘ceto medio riflessivo’ come avrebbe detto Paul Ginsborg, dall’altra le periferie svantaggiate che non sono mai state conquistate dalla retorica ottimistica della globalizzazione. Nessuno oggi, neanche Tony Blair, pensa a rinverdire quella retorica da anni Novanta”.

 

Ma nel momento in cui si capisce, dice Romano, “che il populismo non è in grado di produrre crescita e lavoro, il Pd può rilanciare la propria vocazione maggioritaria non solo sul piano politicistico e della legge elettorale ma anche su quello di un’agenda culturale che sia davvero egemonica”. C’è poi una questione di leadership da porre “ma ne parleremo al momento opportuno. Intanto Zingaretti sta facendo quello non è stato fatto negli ultimi anni: si sta prendendo cura del Pd, a livello di organizzazione e corpo politico. Questi anni ci hanno insegnato che un approccio ‘nevrotico’ alla leadership non serve e non è nemmeno accolto bene dall’elettorato. Per ora bisogna affrontare e risolvere l’agenda politica del Pd. Ci sarà un confronto politico serrato, a Bologna hanno battuto il primo colpo quelli che credono nella radicalizzazione del Pd. La risposta non è il ‘moderatismo’, ma la capacità di parlare a tutti gli italiani respingendo ancora una volta la tentazione della ‘bella sconfitta’: lo slogan ‘meglio perdere che perdersi’ non può tornare di moda a sinistra. E noi di Base Riformista ci impegneremo perché il Pd non perda la bussola”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.