Nicola Zingaretti con Giorgio Gori (foto LaPresse)

Zingaretti voleva fare con Salvini quel che Corbyn faceva con Johnson. E ora?

Salvatore Merlo

“Non si può rispondere al sovranismo offrendo un populismo speculare che si ispira alla sinistra di quarant’anni fa”, dice Gori

Roma. Da venerato modello a solito stronzo, parafrasando Arbasino, il passo è breve. E infatti per la sinistra italiana Jeremy Corbyn ha già fatto la fine di Tsipras, scoperto e presto accantonato, ultimo dei tanti Zapatero e Pablo Iglesias, esorcismi contro l’inadeguatezza e la fragilità delle idee. “Mentre sono proprio le idee che servirebbero”, dice Giorgio Gori, il più vivace rappresentante dell’ala riformista del Pd. “E chissà che da questa sconfitta non venga qualcosa di buono”.

 

Con la sua barba e il richiamo della foresta marxista, Jeremy Corbyn, il leader che ha consegnato giovedì notte il Labour alla disfatta elettorale, aveva rappresentato la legittimazione esotica di tanti esponenti del centrosinistra e anche del Pd: del ministro Roberto Speranza, per esempio, che andava a incontrarlo a Londra. Ma anche di Andrea Orlando, il vicesegretario del Pd che a un certo punto aveva preso a citare pubblicamente Corbyn. E poi di Fabrizio Barca, ovviamente, e persino di Nicola Zingaretti (che con Corbyn si fece pure fare una foto). “Ma la questione riguarda le idee di casa nostra”, dice Giorgio Gori, il sindaco di Bergamo, esponente riformista del Pd che in tanti, all’interno del partito, in quell’area vasta ma acefala che un tempo faceva riferimento a Matteo Renzi, vorrebbero persino candidare segretario al congresso che forse (chissà) un giorno verrà. “Forse possiamo trarre qualcosa di buono da questa sconfitta di Corbyn”, dice allora Gori. “Siamo tutti preoccupati dalle conseguenze che potrebbe avere la vittoria di Johnson, ovviamente. La Brexit non ci piace. Ma non si può negare che da questa sconfitta arrivi un segnale chiaro alle sinistre europee: quella strada lì non porta da nessuna parte”. Ovvero, spiega Gori, sintetizzando la natura della sinistra corbyniana e tratteggiando anche così un parallelo con quanto sta accadendo nel Pd: “Non si batte il sovranismo tornando alle nazionalizzazioni e alle politiche degli anni Ottanta. Corbyn è stato questo, il tentativo di abiurare tutta la stagione del blairismo e della cosiddetta ‘terza via’”.

 

Come sta succedendo in Italia, si parva licet. “C’è un tentativo di cancellare la stagione del riformismo italiano, che ha avuto in questi anni il volto di Matteo Renzi”, dice infatti Gori. “Avanza l’idea che si debba ‘recuperare a sinistra’. Con qualche vistosa miopia però, secondo me. Diciamo che la teoria secondo la quale bisogna assomigliare ai 5 stelle per recuperare il nostro elettorato perduto non mi convince affatto. Certo che abbiamo perso degli elettori. Per mille fattori: la crisi economica, l’immigrazione, il progresso tecnologico, la globalizzazione. Non abbiamo usato nessuna empatia nei confronti delle persone che sentivano franare il terreno sotto i loro piedi. Ma da qui a immaginare che quelle persone stiano tutte coi 5 stelle, o che i 5 stelle siano per questo di sinistra, ce ne passa”.

 

E insomma, archiviato Corbyn, forse qualcosa di buono può succedere, dice Gori. “Durante l’Assemblea del Pd a Bologna ho ascoltato con grande attenzione la relazione di Barca. Non mi sento di buttarla del tutto. Riconosco la serietà. Però l’unica strada per recuperare tutte le ragioni etiche della sinistra, di cui parla Barca, è la creazione di ricchezza. Questa è l’omissione pericolosa di una parte del Pd”. Se non crei la ricchezza non puoi nemmeno redistribuirla. “Un posizionamento sinceramente riformista dovrebbe concentrarsi sul lavoro e sulla produttività”. E invece in opposizione alla destra si sviluppa un populismo speculare.

 

Così, alla fine, quello che descrive Gori è proprio il duello che si è consumato in Inghilterra tra Corbyn e Johnson. Il conflitto che il Pd di Zingaretti sembra voler riproporre in Italia con Salvini. “Rispetto a un mondo in violenta e rapidissima trasformazione, che genera insicurezza nella società, la destra dice: isoliamoci, facciamo muri. Mentre la sinistra rispolvera vecchie ricette: nazionalizzazioni, statalismo, patrimoniali, che erano proprio il programma di Corbyn. Ecco, invece bisognerebbe guardare avanti. A un mondo globale dal quale non si può più tornare indietro”. E la sconfitta di Corbyn basterà? “Forse si potrà riflettere adesso. Magari al congresso del Pd”. Anche se, morto un Corbyn se ne fa presto un altro. All’estero c’è sempre qualcuno da imitare.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.