Da “flessibilità” a “tesoretto”: breve guida alle favole dei politicanti

Veronica De Romanis

L’arte di presentare desideri come fatti non ha colore politico. Vale una sola regola: rifuggire dai concetti complessi

I dati sull’Italia recentemente pubblicati dalla Commissione europea mostrano una situazione davvero poco confortante: zero crescita, poco lavoro, disuguaglianze in aumento e molto debito. Questi problemi non sono certamente nuovi. La debolezza dell’economia italiana ha origini lontane. E’ da circa vent’anni che la produttività – vero motore dello sviluppo – è stagnante ed è da oltre un decennio che il rapporto debito/pil cresce tanto da aver superato il 132 per cento del pil, il secondo livello più elevato della zona euro dopo quello della Grecia. Invertire la rotta richiede una buona dose di coraggio, visione e capacità di prendere decisioni che potrebbero comportare – almeno nel breve termine – un prezzo in termini di perdita di consenso. Difficile, però, trovare politici che abbiano queste qualità e disposti a pagare un simile prezzo. Molti (troppi) di loro, invece di provare a cambiare la realtà, hanno scelto di fare qualcosa di più agevole: cambiare il “racconto” della realtà. Qualche esempio recente? Nell’autunno 2018, il premier Giuseppe Conte spiegava che il 2019 sarebbe stato “un anno bellissimo”. Eppure, tutti (ma, proprio tutti) gli istituti di previsione stimavano una crescita pressoché nulla, cosa che poi si è verificata. Contemporaneamente, l’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio assicurava che la “povertà era stata abolita”. La notizia veniva accolta dai grillini radunati sotto il balcone di Palazzo Chigi con entusiasmo: “Sono felice”, gridavano. Il racconto, in quel caso, prese una direzione nuova, più intimistica: la politica smetteva di commentare le dichiarazioni (false) dei leader per lasciare spazio alla condivisione delle emozioni. Del resto, se i parlamentari della maggioranza sono felici perché non dovrebbero esserlo anche gli italiani?

 

Tanta felicità era causata dalla decisione presa dal Consiglio dei ministri di innalzare il disavanzo al 2,4 per cento del pil. Come è noto, più disavanzo significa più debito e, quindi, più spesa per interessi ossia più trasferimenti di risorse pubbliche verso i possessori di titoli di stato che solitamente non solo la parte più disagiata della popolazione. Pertanto, l’impatto di quella decisione (poi, rivista) sarebbe stato un aumento (e non una riduzione) delle disuguaglianze e, quindi, un aumento (e non una riduzione) della povertà: l’esatto opposto di ciò che dichiarava il capo politico dei 5 Stelle. In sostanza, il governo stava descrivendo una realtà non solo inesistente ma anche irrealizzabile.

 

Presentare (legittime) aspirazioni e desideri come “fatti” è un metodo assai diffuso in politica. Più la situazione si fa critica più la narrativa cambia. Le parole diventano semplici, immediate, positive. E tanto meglio se il concetto che si si sta spiegando è complesso. Del resto, alla complessità non siamo più abituati. La complessità richiede tempo per essere spiegata e tempo per essere compresa. Ma, soprattutto, richiede competenze divenute merce rara sia tra gli eletti sia tra gli elettori.

 

L’avvalersi di parole “positive” è diventato sempre più frequente. Queste parole vengono usate per presentare in maniera positiva, appunto, situazioni che è meglio mitigare, trasformare, persino nascondere. E, allora, per chi volesse districarsi tra la realtà vera e la realtà raccontata, ecco una piccola guida (ovviamente in progress) di quelle più in voga.

 

Flessibilità al posto di debito

E’ sufficiente leggere gli articoli sulla legge di Bilancio per accorgersi che la parola debito è sparita dal dibattito pubblico. “Nella manovra ci sono 14 miliardi di flessibilità”, ha dichiarato il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri. Il capo del dicastero di Via XX settembre non è certo l’unico a usare la parola “flessibilità” in sostituzione della parola “debito”. Parlare di flessibilità consente di indirizzare l’attenzione pubblica su un evento positivo. Nello specifico, il conseguimento di un allentamento delle regole fiscali. E cosa c’è di meglio che raccontare una vittoria in sede europea? In realtà con la flessibilità si ottiene unicamente più tempo per raggiungere gli obiettivi concordati e non più soldi da Bruxelles. Il disavanzo pertanto continua a salire e quindi anche il debito. Ma raccontarlo significherebbe spiegare che aumenta la spesa per interessi (spesa che potrebbe essere utilizzata per nuove scuole, ospedali, ricerca, formazione, ecc), che aumenta il grado di vulnerabilità del paese e che soprattutto aumenta il fardello lasciato ai giovani. Davvero un brutto racconto!

  

Salvaguardia al posto di tassa

Quando si parla di tasse, tutti coloro che hanno avuto un’esperienza alla guida del paese tendono a negare con fermezza di averle incrementate. L’ultima dichiarazione di questo filone letterario è arrivata dall’onorevole Maria Elena Boschi di Italia viva in una trasmissione televisiva su La7: “Con noi le tasse sono scese”. Se questa affermazione è tutta da verificare (per esempio, come viene calcolato l’impatto degli 80 euro?), ciò che è certo è che gli esecutivi di cui ha fatto parte l’onorevole (ossia quelli Renzi e Gentiloni) hanno lasciato tasse future pari a 12 miliardi nel 2019, 19 nel 2020 e altri 19 nel 2021. Una cifra monstre. In questo caso, la parola “salvaguardia” serve a trasmettere un senso di protezione, di tutela. Eppure, di salvaguardia per i cittadini non c’è davvero traccia dato che le suddette clausole garantiscono un incremento futuro dell’Iva. A essere salvaguardato, infatti, è solamente il governo che può spendere soldi senza dover trovare i finanziamenti nell’immediato.

 

Disinnesco al posto di più debito o più tasse

“Nessuno credeva che avremmo disinnescato l’Iva eppure lo abbiamo fatto”, ha dichiarato recentemente il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano. L’uso della parola “disinnesco” non è casuale. Disinnesco definisce “un’operazione diretta a disattivare un ordigno togliendone l’innesco”. In pratica, “disinnescare” corrisponde a “salvare”. E poco importa se le tasse di domani – per intenderci, l’Iva che sarebbe scattata il primo gennaio del 2020 – sono state evitate aumentando sia il debito sia altre tasse. L’importante è comunicare che il paese è stato salvato da una grave minaccia. Che peraltro è stata creata dagli stessi politici, ora in veste di salvatori.

Riduzione anziché non aumento delle tasse

“Abbiamo ridotto un bel po’ di maxi-tasse: anzitutto l’aumento di 23 miliardi di Iva”, è stata una della frase più ricorrenti in questi giorni. Gli italiani si accorgeranno ben presto (il prossimo mese di gennaio) che non c’è nessuna riduzione dell’Iva. Eppure, trasformare un “non aumento” in una “riduzione” è una sfida all’aritmetica che vale la pena affrontare. Per una classe politica dalla “visione corta” anche pochi mesi di racconto “positivo” possono essere importanti.

 

Entrate etiche al posto di entrate cassa

Con questa legge di Bilancio fanno il loro esordio sulla scena politica la plastic tax e la sugar tax. Queste due nuove tasse sono state presentate come “etiche” perché servono a migliorare la vita degli italiani attraverso la riduzione del consumo della plastica e dello zucchero. Tuttavia, se davvero il governo fosse convinto di raggiungere questo obiettivo, il gettito atteso delle suddette tasse dovrebbe mostrare una dinamica decrescente. E, invece, l’ammontare stimato nelle tabelle allegate alla Manovra aumenta di anno in anno, esattamente come avviene con le tasse introdotte allo scopo di fare cassa. Del resto, quale potrebbe essere la differenza tra le prime e le seconde in assenza di un programma serio che preveda innanzitutto un cambiamento culturale?

 

Stanziamenti al posto di coperture

“I soldi ci sono. Basta sbloccare 120 miliardi di investimenti”, ha dichiarato il ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova al convegno di Italia viva tenutosi la scorsa settimana a Torino. Il messaggio da trasmettere è duplice: in primo luogo, le risorse non sono un problema perché sono state stanziate; in secondo luogo, ciò che davvero conta è la capacità di sbloccarle. Saper sbloccare le risorse è fondamentale per far ripartire gli investimenti ma omettere di specificare che “stanziare” è cosa diversa da “finanziare” significa fornire un racconto di una realtà che non c’è.

 

Tesoretto al posto di disavanzo

Se ci fosse un premio Oscar per le parole “positive”, lo vincerebbe sicuramente “tesoretto”. Questa parola è, forse, una delle più amate dai politici perché proietta gli elettori nel mondo incantato delle favole dove i governanti aprono forzieri pieni di monete d’oro. La parola “tesoretto” viene usata per annunciare agli elettori che sono stati trovati nuovi soldi da spendere. Questi soldi, però, non esistono. Il tesoretto, infatti, indica semplicemente la differenza tra il disavanzo programmatico e il disavanzo tendenziale (quello senza la Manovra). Il governo può decidere di usare questo spazio – chiamato dalla politica “tesoretto” – e aumentare così le risorse a disposizione. Il risultato ultimo, però, è un incremento del debito perché le risorse aggiuntive non arrivano da uno scrigno segreto.

 

Tutti i politici, negli ultimi anni, hanno annunciato di avere un “tesoretto” da spendere: solo per fare qualche esempio, Silvio Berlusconi aveva 10 miliardi, Matteo Renzi 47 miliardi, Giuseppe Conte 8 miliardi. Questi tesoretti si sono trasformati puntualmente in maggiore debito. Pasti gratis, del resto, non esistono.

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