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Lo spettro di un patto Zingaretti-Salvini per le elezioni

Salvatore Merlo

Da Carfagna a Renzi, in Parlamento non si muove più nulla. Si ferma la grande scomposizione e la non emorragia da Forza Italia è l’indice della paura del voto

Roma. Tutto fermo, improvvisamente. E sul Parlamento che sembrava attraversato da mille fermenti e spinte contrapposte, dalle manovre di Matteo Renzi per allargare il suo gruppo, dalle ambizioni e dalle speranze di Mara Carfagna di dar vita quasi a un partito, dai febbrili calcoli al pallottoliere di Giuseppe Conte e Dario Franceschini per rafforzare la maggioranza acquistando parlamentari, ecco che su tutto questo è calata una coltre d’incertezza che all’improvviso intorpidisce ogni movimento. Quale sarà la legge elettorale? Ed è poi vero, come ormai dicono tutti, che Nicola Zingaretti ha già un accordo con Giancarlo Giorgetti per andare a votare dopo le elezioni in Emilia-Romagna, comunque vadano, o addirittura dopo la manovra?

  

Così i parlamentari che si erano riuniti attorno a Mara Carfagna rimangono sospesi, ciascuno con le sue idee contrapposte e le sue incertezze coincidenti. I senatori dell’Udc, per esempio, gli amici di Lorenzo Cesa, erano interessati a costruire un gruppo che finisse per aiutare Conte e Franceschini a tenere in piedi la maggioranza, una piccola forza parlamentare che potesse pareggiare i conti con Renzi, indebolire la sua capacità contrattuale (e di minaccia) sul governo trovando un leader e un volto nell’onorevole Carfagna. Ma moltissimi altri, non ultimo Maurizio Lupi, come parecchi deputati di Forza Italia tra cui Renata Polverini, la vedevano invece in tutt’altro modo: la prospettiva, per loro, non poteva essere quella di diventare i nuovi “responsabili” a sostegno di Conte, ed erano al contrario interessati a una triangolazione (e in prospettiva a un’alleanza elettorale) proprio con Renzi. Orizzonti inconciliabili, dunque, in un quadro reso indecifrabile dall’incertezza sulla durata della legislatura e complicato anche dallo stesso Renzi che la settimana scorsa aveva telefonato a diversi deputati di Forza Italia considerati vicini a Carfagna per dire loro, all’incirca: “Se fate il gruppo sappiate che è una mossa ostile, e con me avrete chiuso”. 

 

Ma questo accadeva prima. Adesso è tutto fermo. Immobile. D’altro canto nemmeno Renzi riesce ad allargare i gruppi di Italia viva. L’incertezza sulla legislatura – dura? E quanto? E se non dura come si voterà? Col proporzionale o con l’attuale sistema? – ha avuto l’effetto di compattare, per inerzia, Forza Italia, cioè un partito il cui ruolo assegnato dal destino sembrava ormai quello di serbatoio parlamentare per operazioni politiche altrui. Tutti sospesi, invece. Quasi congelati. Persino Alessandro Cattaneo, l’ex formattatore di Forza Italia che pure non disdegna cena con Maria Elena Boschi e gli altri del gruppo renziano, resta fermo come un geco alla parete. E insomma il partito che dava ampi segni di disfacimento, al punto da aver portato le due capogruppo, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini a litigare in pubblico lo scorso 5 novembre (Bernini che si alza platealmente abbandonando una conferenza stampa, mentre la collega, freddissima, la accompagna alla porta: “Prego, si accomodi”), ecco che ritrova una pace almeno apparente. Non sono più i tempi d’oro, certo, ma il Cavaliere anche con il 7 per cento e un’alleanza con la Lega, specialmente a legge elettorale invariata, sarebbe in grado di rieleggere almeno i fedelissimi, e non solo. E questo – la rielezione – è il punto. Per tutti. Che garanzie darebbe invece Carfagna? E Renzi? Poche, per adesso. Tanto più se fossero vere le voci che si rincorrono, sul filo della speranza (di alcuni) e della preoccupazione (di molti altri), intorno a un presunto accordo segreto tra Zingaretti e Giorgetti, insomma tra il Pd e la Lega di Salvini, per andare alle elezioni anticipate. Si tratterebbe, fosse vero, della riedizione corretta dell’accordo leggendario (nel senso che mai è stato provato) di agosto tra Zingaretti e Salvini, quando il leader leghista si lanciò apparentemente senza paracadute da una finestra del Viminale aprendo la crisi. Secondo la leggenda, Zingaretti aveva assicurato Salvini che si sarebbe andati a votare, ma poi il segretario del Pd non è riuscito a controllare i gruppi parlamentari che ancora rispondevano a Renzi. Dopo la scissione è tutto cambiato. E oggi Zingaretti è in grado di garantire la rielezione a chi gli sarà fedele. I sondaggi infatti, incredibilmente, danno l’idea di un Pd che regge. Inoltre Zingaretti, domenica a Bologna, ha confermato una piattaforma molto di sinistra e di alternativa “bipolare” alla Lega. Dunque se volesse, stavolta potrebbe anche riuscire a chiudere la legislatura. Ipotesi che, seppur evanescente, ha bloccato in un lampo ogni movimento all’interno di un Parlamento in cui fino alla settimana scorsa deputati e senatori roteavano come particelle subatomiche nel laboratorio del Cern di Ginevra.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.