Gianluigi Paragone (foto LaPresse)

Commissione senza Paragone, gruppo senza capo. Romanzo a 5 stelle

Valerio Valentini

I grillini hanno iniziato ad accapigliarsi anche per la commissione d’inchiesta sulle banche

Roma. Siccome ogni saga di valore ha anche il suo spin-off, ecco che i parlamentari del M5s hanno iniziato ad accapigliarsi anche per la commissione d’inchiesta sulle banche, evidentemente non paghi delle baruffe, già entrate nell’empireo della mitologia del Palazzo, per la scelta dei nuovi capigruppo. E così, la scorsa settimana, i sei deputati e i sette senatori grillini che prenderanno parte – quando mai dovessero davvero partire – ai lavori d’indagine sulle storture del sistema bancario italiano, si sono incontrati per individuare il loro candidato presidente. E non è andata bene. Il più scalpitante di tutti era, manco a dirlo, Gianluigi Paragone, il dissidente organico che su quella commissione, aveva messo gli occhi da tempo, desideroso di continuare la canea della sua “Gabbia” con altri mezzi. “Ma il presidente deve essere una figura di garanzia, non ostile alla maggioranza di governo”, lo hanno stoppato i deputati Riccardo Tucci e Marco Rizzone. “Potremmo sempre chiedere i voti alla Lega”, ha replicato lui, provocando le reazioni sconcertate dei suoi interlocutori. Ne è seguito il proposito di di proseguire nel frattempo la discussione su una chat di WhatsApp: dove, però, lo scambio di opinioni s’è subito incancrenito in gazzarra. Perché c’è chi rivendica la presidenza della commissione a un senatore, chi rilancia su una doppia candidatura da mettere ai voti, chi auspica perfino una rosa più ampia da sottoporre al vaglio degli alleati. Al punto che Rizzone s’è seccato: “Menomale che dovremmo essere un gruppo, cominciamo bene”, ha scritto un paio di giorni fa in chat, mentre altri suoi colleghi, di sottecchi, sparlavano di lui in una malmostosa catena di sant’Antonio: “Essendo già coinvolto nell’altra votazione, lui dovrebbe subito fare un passo indietro”.

 

Sì, perché in effetti il centro di gravità di ragionamenti dei deputati grillini resta sempre lo stesso, ormai da cinque mesi: la scelta del nuovo capogruppo, incarico rimasto vacante dopo la promozione di Francesco D’Uva a questore. Dopo due votazione andate a vuoto, un numero ormai imprecisato di assemblee dedicate al tema e una selezione naturale che ha portato gli aspiranti da undici a tre, e quindi a due dopo il ritiro di Anna Macina, sembrava che – per sfinimento – si arrivasse a convergere su una candidatura unitaria. Quella di Francesco Silvestri, già vice di D’Uva, dato per vincente scontato alla vigilia e impantanatosi nella palude di malumori e invidie reciproche del gruppo. Il suo sfidante, Raffaele Trano, aveva alla fine ceduto, provando a costruire una squadra unica – oltre al capogruppo, bisogna scegliere anche un vice, un tesoriere e tre delegati d’Aula – scontrandosi però con la ferma resistenza di Silvestri e del suo vice, Riccardo Ricciardi. E così s’era ritirato, ottenendo che quantomeno il suo tesoriere, il succitato Rizzone, venisse accolto in lista.

 

“Ma questa più che una sintesi è una somma d’interessi”, è sbottato il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, nell’assemblea di martedì scorso. La stessa in cui è stata ufficializzata la candidatura di Davide Crippa, già viceministro dello Sviluppo non riconfermato, poi candidatosi al ruolo di questore, infine sceso in campo nell’arena più tribolata quando l’apoteosi di Silvestri pareva inevitabile. E non a caso c’è chi ha protestato, in chat: “Vabbè ‘rega’ siamo deficienti, si fa un lavoro complesso per fare sintesi e costruire e qui ci sta qualcuno che distrugge”, ha scritto Manuel Tuzi. E però, nella consultazione interna di mercoledì scorso, Crippa ha raggiunto 83 voti, 12 appena in meno di Silvestri. Non sono bastati, perché la regola che i deputati si sono dati è quella di raggiungere la maggioranza assoluta del gruppo: quindi di preferenze ne servono 109. “Perfino per eleggere il capo dello stato, dalla terza votazione in poi si abbassa il quorum”, scuote la testa Giuseppe Brescia. “Ma a noi piace farci del male”. E chissà se servirà ad attenuare la vocazione al masochismo l’ultimo strano metodo elaborato: “Nell’attesa della quarta votazione, abbiamo proposto una sorta di consultazione spontanea, anonima”, spiega Sergio Battelli. “Possiamo votare chiunque, per vedere se escono altri nomi oltre a quelli dei candidati”. Così, magari, il gioco dell’oca ricomincia da capo.

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