Matteo Salvini, Claudio Borghi, Marco Zanni (foto LaPresse)

No Euro, no Lega

Luciano Capone

La Lega può combattere la sua impresentabilità solo mettendo da parte il modello Borghi-Bagnai

Roma. Del raduno leghista di Pontida si è parlato molto per episodi vergognosi, come l’ostensione di una “bambina di Bibbiano” (che in realtà non è di Bibbiano) e gli insulti (anche antisemiti) ai giornalisti Gad Lerner e Antonio Nasso. Ma sia sopra che sotto il palco di Pontida erano presenti dei sommovimenti politici, non clamorosi, ma politicamente rilevanti che sono stati registrati da Annalisa Chirico (sul Foglio del 16 settembre). In maniera abbastanza diplomatica, con tutte le cautele necessarie in un partito di tipo leninista, i più importanti dirigenti leghisti hanno di fatto criticato e messo in discussione la linea politica del partito sull’euro. “Vogliamo restare dentro l’Europa,  vogliamo un’Europa forte con un’Italia forte”, ha dichiarato il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa, secondo cui i dioscuri no euro Borghi e Bagnai sull’Italexit “parlano a titolo personale perché nel programma della Lega non c’è l’uscita dall’Unione europea”. Per Crippa l’euro è “assolutamente” irreversibile: “Se uscissimo dall’euro ne avremmo un costo enorme e zero benefici”. Per l’ex ministro Lorenzo Fontana le uscite di Borghi e Bagnai contro l’euro “sono un autogol”: “Chi sparge queste idee non fa il bene della Lega”. E poi elogi al presidente della Bce Mario Draghi: “Ha tenuto in piedi la costruzione europea, senza il Quantitative easing sarebbe venuto giù tutto”.

 

 

Sulla stessa lunghezza d’onda c’è l’ex ministro dell’Agricoltura (e, per pochi giorni, candidato commissario europeo) Gian Marco Centinaio: l’Italexit “non esiste, e penso che chi gioca con queste parole, anche all’interno del partito, reca un danno all’immagine della Lega… questa idea è stata completamente archiviata”. Allo stesso modo, secondo il capogruppo alla camera Riccardo Molinari “certe sortite” sull’uscita dall’euro “spaventano le istituzioni europee e il sistema, tuttavia questa idea non è mai stata nel programma della Lega. E mai ci sarà”, perché “il programma e i documenti ufficiali della Lega non hanno mai parlato di uscita dall’euro e dall’Unione europea”.

 

Le parole del gruppo dirigente più vicino a Matteo Salvini sono, ovviamente, troppo indulgenti rispetto al proprio leader, che ha spostato in pieno la piattaforma anti euro e isolazionista in Europa. E sono un tentativo maldestro di riscrittura della storia politica della Lega, che – a differenza di quanto dichiarato – all’ultimo congresso federale, quello del 2017, ha approvato una mozione presentata da Borghi che impegna Salvini e la Lega a sottrarre la “sovranità monetaria” all’Europa come “premessa necessaria per la sostenibilità di gran parte del nostro programma economico e di sviluppo”. E infatti, quella mozione è poi diventata il punto centrale del programma con cui Salvini si è presentato agli elettori alle scorse elezioni politiche (“L’euro è la principale causa del nostro declino economico... Abbiamo sempre cercato partner in Europa per avviare un percorso condiviso di uscita concordata. Continueremo a farlo”). Omissioni e bugie a parte, la novità è che è maturata in tutto il gruppo dirigente leghista la convinzione che la battaglia anti euro, che in una prima fase ha garantito visibilità e consensi alla Lega, ora è diventata un peso insostenibile e uno dei motivi che rendono il partito inaffidabile come forza di governo agli occhi degli investitori e di gran parte dell’elettorato. Il crollo di oltre 100 punti di spread dovuto all’insediamento del nuovo governo che – pur mantenendo un’impostazione di politica economica simile a quello precedente – si è dichiarato nettamente ancorato alla moneta unica, dimostra quanto valga (e quanto costi) l’ambiguità sulla questione euro.

 

Il problema è che l’ambiguità non può essere risolta in maniera ambigua. I dirigenti salviniani possono dire che adesso il partito non è più anti euro, ma se i due ideologi no euro – Borghi e Bagnai – restano responsabili economici del partito e presidenti di commissione (Bilancio e Finanze) in Parlamento quelle affermazioni non sono credibili. I dirigenti leghisti possono elogiare il lavoro di Mario Draghi, ma se il leader della Lega nell’Europarlamento resta chi – come Marco Zanni – per anni ha attaccato in tutti i modi il presidente della Bce, le loro dichiarazioni lasciano il tempo che trovano.

 

Se davvero la Lega – e quindi Matteo Salvini – intende dare un segnale di chiarezza sulla questione euro, deve agire concretamente in maniera consequenziale: approvare in maniera ufficiale una linea politica inequivocabilmente pro euro (magari con un congresso) e mettere ai margini gli esponenti che hanno caratterizzato la linea no euro di questi anni.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali