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Il Pd vuole commissariare il Mise con la delega forte: Energia

Valerio Valentini

Da Di Maio a Patuanelli. La differenza c’è ma la struttura non cambierà. Occhio alle telecomunicazioni

Roma. E’ riuscito a infilare un errore grammaticale – innocente distrazione, of course – perfino nell’ultimo atto formale da ministro uscente. “Abbiamo portato a casa provvedimenti e riforme di cui ne (sic!) sono orgoglioso”. E però questa svista sintattica, messa nella lettera con cui Luigi Di Maio ha preso formalmente congedo dai dipendenti del Mise, sembra allungarsi come un’ombra perdurante di sciagura, sugli uffici di Via Veneto che ora attendono Stefano Patuanelli, atteso evidentemente da una sfida difficile. Perché da un lato, sulla sua possibilità di imporre una svolta a una macchina abbastanza ingolfata, specie dopo la scombiccherata riforma interna del febbraio scorso, si nutrono grosse aspettative; e dall’altro, tuttavia, l’ex capogruppo al Senato, appena promosso con tutti gli onori alla poltrona che fu del capo politico grillino, si ritroverà ad avere a che fare con la stessa struttura che proprio Di Maio aveva portato a Via Veneto, e che non ha dato brillante prova di sé.

 

Potrebbe infatti imporre alcuni innesti esterni, Patuanelli, ma per lo più l’organigramma del Mise resterà lo stesso. Rimarrà infatti Salvatore Barca, napoletano di Volla, arrivato a Via Veneto la scorsa estate, per raggiungere Di Maio (oltreché la sua fidanzata Assia Montanino, pomiglianese doc e dunque promossa a segretaria del ministro). Dapprima assunto come capo della segreteria, poi addirittura – con tanto di forzatura normativa – segretario generale del Mise. L’apoteosi del “gigio magico”, insomma: quella catena di affetti, coltivati negli anni felici dell’adolescenza a Pomigliano, e che non si può certo spezzare. E nella catena c’è anche Enrico Esposito, compagno di università di Di Maio (che, però, a differenza di Di Maio si è laureato) e insignito della carica di capo del legislativo del Mise. Insieme a loro, conserverà il suo apicale ruolo di capo di gabinetto anche Vito Cozzoli (che pure ha accarezzato la tentazione di una nomina in AgCom), così come i suoi vice: Elena Lorenzini, divenuta coi mesi uno dei più fidati consiglieri del leader del M5s, e Giorgio Sorial, ricompensato con un incarico tecnico a Via Veneto per la sua mancata elezione il 4 marzo 2018.

 

Ed è anche per via della pervasività di questa corte di fedelissimi pronta a passare in dote da Di Maio a Patuanelli, se nel Pd si stanno convincendo che l’avvicendamento in casa cinque stelle al Mise non sia altro che un trasferimento di consegne, fatto perché in realtà nulla cambi davvero. E da questo timore deriva la determinazione del Nazareno a rivendicare per un suo viceministro deleghe importanti. Prima fra tutte, quella dell’Energia, storico feudo bersaniano presidiato ancora, benché con meno autonomia di un tempo, dai dirigenti Sara Romano e Gilberto Dialuce. Davide Crippa, il sottosegretario grillino che finora se ne è occupato, sta cercando in tutti i modi di mantenere la sua posizione, nonostante i giudizi non proprio entusiasti che, sul suo operato, sono stati formulati dai parlamentari grillini nelle scorse settimane. A sostituirlo, però, potrebbe essere il bolognese Gianluca Benamati, vicepresidente della commissione Attività produttive alla Camera e tra i più esperti del settore nel Pd: è lui che, se dovesse uscire vivo dal gioco perverso delle correnti, potrebbe vedersi assegnata anche la delega all’Industria (per cui sono in corsa, però, anche il renziano Luigi Marattin e l’attuale assessore in regione Lazio, Gian Paolo Manzella) settore in cui a Via Veneto regna un discreto caos da quando, nel maggio scorso, è andato via Stefano Firpo, direttore generale – ad oggi non rimpiazzato in maniera stabile – che aveva ideato il piano di Industria 4.0.

 

E però, nel Pd, c’è anche chi intravede esigenze diverse, quando si parla di Mise. Perché un’altra delega appetita – più per questioni politiche che non per effettivo impatto sul pil – è quella delle telecomunicazioni: settore su cui il Cav. avrebbe chiesto delle garanzie in cambio di un neppure troppo dissimulato sostegno esterno al nascituro governo rousseaugiallo. Ci aspirano in molti, e i più accreditati sarebbero Antonello Giacomelli e Salvatore Margiotta, entrambi della corrente lottian-gueriniana di Base Riformista. Sul fronte grillino, invece, per quel ruolo si fa anche il nome di Emilio Carelli, ex direttore di Sky Tg 24, oltre a quello di Stefano Buffagni, grillino milanese rimasto tagliato fuori dalla spartizione ministeriale. Sempreché, alla fine, Patuanelli non segua l’esempio di Di Maio: tenersi la delega alle telecomunicazioni per sé, e tanti saluti.

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