Riforma costituzionale, Luigi di Maio commenta lʼok al taglio dei parlamentari(LaPresse foto)

Cos'è (e come non funziona) la riforma costituzionale. Breve analisi

Sergio Soave

Per il M5s la prospettiva di un accordo con il Pd, dopo il fallimento del contratto con la Lega, presenta difficoltà evidenti

Il tema della riforma costituzionale che ridurrebbe il numero dei parlamentari è diventato cruciale nello svolgimento di una crisi di governo dai caratteri anomali. Dopo l’apprezzamento per questa riforma, fino a ora bocciata in Aula per tre volte dal Pd, da parte di Matteo Renzi e il tentativo un po’ bislacco di Matteo Salvini di approvarla in extremis per poi rinviarne l’applicazione di cinque anni, è diventata un elemento dirimente delle alleanze possibili per un governo con una maggioranza diversa da quella uscente.

 

I termini procedurali sono abbastanza chiari: per procedere alla quarta lettura che approverebbe quasi definitivamente la riforma è necessario che ci sia un governo in carica. In caso di scioglimento delle Camere non si procederebbe al voto definitivo e quindi si dovrebbe ricominciare tutto da capo nella prossima legislatura. Anche nel caso in cui si arrivasse alla quarta approvazione, poi si dovrebbero aspettare tre mesi nei quali è possibile chiedere un referendum, da parte di una quota consistente di parlamentari, il che è improbabile che accada, o da cinque consigli regionali, che non si vede quali potrebbero essere. Resta la possibilità, più concreta, che 50 mila elettori si attivino, senza simboli di partito, per imporre il referendum confermativo, che comunque sembra destinato al fallimento, perché nel clima anticasta dilagante è difficile che una maggioranza di elettori si opponga alla riduzione dei parlamentari. Potrebbe farlo, in realtà, solo quella parte del Pd che condivide l’opinione di Graziano Delrio, che ancora oggi insiste nel definire la riforma “un pasticcio”, o le formazioni minori, come Leu o +Europa, che pure dalla riduzione del numero degli eletti rischiano di finire stritolati. D’altra parte, visto che queste stesse formazioni si sono espresse contro lo scioglimento delle Camere e per un governo nuovo che potrebbe nascere solo con l’impegno a approvare la riforma, se dovessero subirne poi le conseguenze, si potrebbe dire che se la sono cercata.

 

In ogni caso, se si arriverà all’approvazione in quarta lettura della riforma, questa diventerà operativa solo in primavera, se non ci sarà il referendum, o in autunno se il referendum sarà celebrato, e sempre che nel frattempo si sia trovato un accordo per la distribuzione dei collegi (complicata da alcune questioni locali come quella dell’Alto Adige) e soprattutto per una nuova legge elettorale, che non sarebbe necessaria istituzionalmente, ma per la semplice ragione politica che mantenere in vigore quella attuale con il premio di maggioranza regionale porterebbe il centrodestra a una vittoria non solo certa ma anche assai larga.

 

In realtà nemmeno i Cinque stelle, che pure su questo hanno costruito il nucleo della loro campagna contro le elezioni anticipate, pensano ad accelerare l’approvazione della riforma. Il presidente della Camera Roberto Fico presenta alla conferenza dei Capigruppo un calendario in cui ci sono prima le dichiarazioni di Giuseppe Conte (e nel caso in cui non le concluda con l’annuncio delle dimissioni la votazione della mozione di sfiducia leghista) e solo dopo l’eventuale votazione definitiva della riforma, che sarebbe possibile solo con un governo in carica.

 

Sullo sfondo c’è l’affermazione un po’ criptica di Luigi Di Maio secondo cui non c’è fretta perché la riforma è “di legislatura” che si può accostare all’ipotesi di Delrio che punta a una riforma più complessa che recuperi, per esempio, il superamento del bicameralismo perfetto. Il che però equivale a costruire un percorso molto lungo, appunto di legislatura, che si può progettare solo se si stipula un patto di lunga durata tra Cinque stelle e Partito democratico, come vorrebbe Nicola Zingaretti. Per i Cinque stelle la prospettiva di un accordo politico complessivo con il Pd, dopo il fallimento del contratto con la Lega, presenta difficoltà evidenti, ma questo è il vero argomento della discussione reale che sottende all’andamento della crisi. In questo quadro l’accordo, se c’è, sulla riduzione del numero dei parlamentari, è una condizione necessaria ma ben lontana dall’essere di per se sufficiente.