Foto LaPresse

Un governo fondato sul privilegio. Slurp!

Claudio Cerasa

L’immunità come virtù, gli stipendioni come fattore di stabilità, le ferie come manna dal cielo. E poi il caso Tav. Come un governo nato per abbattere i privilegi è diventato un governo che se non fosse per i privilegi chissà da quanto sarebbe stato abbattuto

Se non ci fosse da piangere verrebbe quasi da ridere. Doveva essere il governo dell’anticasta, doveva essere il governo antisistema, doveva essere il governo del popolo, doveva essere il governo antiprivilegi, doveva essere il governo antimercati, doveva essere il governo antitecnocrati ma a poco più di un anno dalla sua nascita lo spassoso bilancio della rivoluzione populista ci offre un quadro che si trova a metà tra la farsa e la comicità.

  

Il governo nato per dare al paese un esecutivo eletto dal popolo si avvicina alla sua seconda legge di Stabilità guidato da un premier non eletto dal popolo, scelto da una maggioranza non votata da nessuno, nata da un inciucio parlamentare che resiste grazie a un comune interesse dei due partiti a spartirsi le poltrone e a un accordo costruito con gli odiatissimi burocrati di Bruxelles per evitare una dolorosa procedura di infrazione che avrebbe provocato una dura reazione dei non più odiatissimi mercati.

  

Il governo del popolo nato contro la volontà del popolo, guidato da tecnici non eletti dal popolo e governato da una maggioranza non voluta dal popolo – che in alcuni casi, per non perdere la poltroncina, non disdegna di votare in Parlamento insieme ai nemici di sempre, ovvero i simboli del sistema, e Dio sa quante volte in questa legislatura il partito di Grillo ha votato con il partito del Cav. e chissà quante altre volte in questa legislatura capiterà che il partito di Salvini voti, come succederà oggi sulla Tav, insieme con il partito di Zingaretti – non si è limitato in questi mesi ad aver magnificamente contraddetto la politica anticasta ma ha fatto qualcosa di più, qualcosa di più elaborato, qualcosa di più sofisticato: ha trasformato un governo nato per abbattere i privilegi in un governo che se non fosse per i privilegi chissà da quanto sarebbe stato abbattuto.

  

Se non fosse stato per un privilegio che ai tempi dell’opposizione il Movimento 5 stelle e la Lega avrebbero abolito con grande piacere, ovvero la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, il ministro dell’Interno Matteo Salvini oggi sarebbe ancora sotto processo, per il caso Diciotti, e sarebbe ancora indagato con l’accusa di sequestro di persona, ma grazie al privilegio che la Costituzione concede ai parlamentari della Repubblica, privilegio che consiste nel non essere considerati cittadini come gli altri, il ministro è ancora lì, il governo è ancora lì e la maggioranza, che nel caso del voto sulla Diciotti si è allargata anche a Forza Italia e a Fratelli d’Italia, è ancora lì.

  

Il privilegio, come avrebbe detto Giulio Andreotti, logora chi non ce l’ha. E se non fosse per gli altri privilegi concessi ai parlamentari, privilegi come gli stipendi molto alti, privilegi come le pensioni molto alte che per i parlamentari al primo giro maturano dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura, è facile immaginare che questo governo non sarebbe ancora qui ed è facile dunque immaginare che se non fosse per lo status di parlamentare chissà quanti deputati e chissà quanti senatori senza mestiere, né arte né parte, avrebbero considerato inaccettabile la loro esperienza di governo con un partito favorevole a un’opera odiatissima come la Tav.

   

Il collante della maggioranza antiprivilegi è diventato il privilegio stesso (e lo stesso taglio del numero dei parlamentari è un taglio ai privilegi utile a stabilizzare la legislatura). E sulla base di questo principio, naturalmente, non può esistere più alcuna polemica sulle lunghe ferie dei parlamentari (meno si sta in Parlamento e più la legislatura è stabile), non può esistere più alcuna polemica sull’oscenità della legge elettorale (l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, venne definita dal M5s, nel 2017, incostituzionale, ma oggi guai a parlare di nuova legge elettorale, non sia mai la Lega si arrabbi), non può esistere più alcuna polemica sull’abuso del voto di fiducia (mettere la fiducia, secondo l’attuale vicepresidente del Senato Paola Taverna, era un po’ come organizzare un colpo di Stato e il governo del cambiamento oggi vanta il 28,5 per cento di leggi approvate con la fiducia, ai tempi di Renzi erano il 26,7 per cento, ai tempi di Berlusconi erano il 16,4 per cento) e persino le argomentazioni offerte dai professionisti dell’anticasta per giustificare la prosecuzione del governo rispecchiano quelle un tempo utilizzate dai campioni della casta per tentare di rispondere con argomenti anticasta ai professionisti dell’anticasta (tornare a votare, ha detto tre giorni fa il nostro adorato Alessandro Di Battista, non si può fare perché “costerebbe agli italiani 300 milioni di euro, per cui il governo deve andare avanti”).

  

Basterebbe tutto questo forse per strapparvi un sorriso, se non fosse che per uno strano scherzo del destino i nuovi parametri individuati dall’Inps offrono un ulteriore elemento di riflessione e di spasso: secondo l’Inps gli italiani appartenenti all’1 per cento della popolazione ricca sono quelli che guadagnano più di 97 mila euro e secondo questo calcolo un politico come Di Maio, che nell’ultima dichiarazione dei redditi ha comunicato di guadagnare 98 mila euro all’anno, rientrerebbe proprio in quell’un per cento che il Movimento ha sempre dichiarato di voler combattere. Se non ci fosse da piangere verrebbe quasi da ridere. Viva i privilegi, viva la casta, viva la revolución!

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.