Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (Foto LaPresse)

Il farsesco attacco a Tria

Redazione

Distrazioni. Non sarà il ministro a insidiare un governo pazzotico ma la realtà

Giovanni Tria non è certo esente da colpe: ha accettato buon ultimo che la stima di un pil a più uno per cento nel 2019 era fantascienza, prendendo atto della realtà di una recessione già in corso e non più “tecnica” di fronte alle stime concordi di tutti gli organismi internazionali e nazionali, dall’Ocse alla Banca d’Italia, che prevedono una crescita poco sopra o sotto allo zero. Il ministro dell’Economia sa benissimo, ovvio, che non si tratta di gufi, catastrofismi o sabotaggi contro il governo del popolo ad opera di lobby e di nemici del cambiamento.

 

Di quegli istituti e quel mondo – che secondo il suo collega Luigi Di Maio non dovrebbero intromettersi in quanto “non eletti da nessuno” – lui stesso fa parte, condivide il linguaggio. Mondo che spesso sbaglia. Ma in genere lo fa per eccesso di ottimismo non di pessimismo, e comunque sarebbe bizzarro per un economista come lui abboccare alla propaganda dei poteri forti contro l’Italia. Non era forse proprio Tria a mettere in guardia per primo sulla crisi di reputazione che rischia l’Italia se non rimette i conti in ordine, soprattutto se non mantiene gli impegni su deficit e debito? Quel Tria che per primo (e unico) nel governo ha pronunciato la parola “reputazione” mentre tutti parlavano di cambiamento e di spread da “mangiare con la prima colazione”. Quel ministro va difeso.

 

Come finora hanno fatto il Quirinale, la Banca d’Italia, il mondo imprenditoriale che sono anche gli unici interlocutori credibili che il paese possa presentare al mondo esterno, all’Europa, ai mercati, che detengono il nostro debito e sono vitali per le nostre esportazioni. In definitiva nel governo della propaganda Tria è stato il solo a non perdere il contatto con la realtà. Lo ha fatto a fine 2018, dopo il balcone di Di Maio & Co., quando ha concordato con Bruxelles di ridurre il deficit previsto. Lo sta facendo oggi quando dice che se si dimette lui si scatena una crisi paragonabile al 2011, ma anche affermando una cosa evidente: non si possono dare rimborsi a pioggia ai “risparmiatori traditi”, senza separare i truffati da chi ha agito consapevolmente. E questo non solo per una questione di risorse e di responsabilità civile, etica e giuridica. Ma appunto di realtà.

Di più su questi argomenti: