Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Elogio dei pochi che ce la fanno e brillano per la gioia di noi opachi che arranchiamo

Giuliano Ferrara

L'ipocrisia dello slogan di Corbyn, che tenta di rendere chic il socialismo. Ma alla retorica anti élite rispondiamo così: We few, we happy few, we band of brothers

For the many not the few. Brevi considerazioni un po’ stupide (capita) su questione di massima rilevanza che solo in pochi potrete capire e in molti deridere. Dunque. Corbyn ha rimesso a nuovo, ha reso chic, il socialismo in una sola frase, appunto: for the many not the few (per i molti, non per i pochi). Poi vediamo come va, noi che siamo for the May e not the Lab. Ma intanto la parola d’ordine è fenomenale, ha bucato, corre su tutte le bocche elettorali, incanta la Bloomsbury col cerchietto, invade il British Museum e la British Library, la cantano alla Royal Opera, dilaga nelle piazze, è paragonabile a quella che portò alla Casa Bianca Dwight Eisenhower detto Ike, con i complimenti del grande linguista Roman Jakobson: I Like Ike (gioia di ritmo e eufonia). For the many not the few. E’ tutto un programma come si dice. E’ up to date, roba da fashionistas. E la splendida AOC da New York risponde per le rime combattendo Trump a colpi di tassazione contro i ricchi al 70 per cento e sanità gratis per tutti, poi vediamo come va. Ovvio che governare per i many (senza tanto money) è meglio che servire i few (con molta moneta), è più corretto, umano, più comprensibile e inoltre suscettibile di portare consenso. Anche il riformista liberale e globalizzatore con quattro B, libberale e globbalizzatore, ha un cuore.

 

Tuttavia non bisogna perdere il senso delle sfumature e delle proporzioni. Quando prendi il bus ti auguri che i passeggeri siano pochi, nessuno ama il pigia pigia. Se vai alla spiaggia, non ti piace il carnaio degli ombrelloni e l’inevitabile sabbia negli occhi e lo strepito dei pupi. A scuola puoi detestare com’è giusto il capoclasse, che è sempre anche spione, ma non è male, dài, stare tra i primi, quelli promossi, che la sanno non proprio lunga, ma la sanno, i pochi. I few sono nell’arte quelli salvati dalla folla dei many in una pinacoteca della tua sensibilità e del tuo gusto. Tutta quella gente people di cui si discorrere e si chatta, che si ammira e stira in interminabili classifiche, insomma lo stardom, è composto dai pochi che ce la fanno e brillano per la gioia di noi opachi che arranchiamo. Di Einstein ce n’è uno solo, anche di Picasso, di Proust e Meryl Streep e via dicendo, siamo seri, few is beautiful, e dei many che fanno fisica teorica, imbrattano e pubblicano e recitano così così anche chissenefrega. Ecco. Lo slogan della efficace retorica anti élite, composto sapientemente di un positivo sontuoso, for the many, e di un negativo annientante, not the few, ha in sé la naturalezza e la doverosità della politica democratica, perbacco, ma anche l’ipocrisia di un classismo mal digerito, che poi sarebbe il bolo incommestibile addirittura della società di massa. La selezione paradossalmente è l’anima del commercio. Tra quei many incantati dal socialismo chic mi sapete dire chi veramente non vorrebbe coccolare la propria vita tra i few?

 

Si dice. Ma le elezioni bisogna vincerle, la ggente va rispettata, il buonsenso premiato, la semplificazione deve insignorirsi di ogni aspetto della nostra vita, bisogna nutellare e squartare pizza in Fb, essere il Truce con i truci, mica siamo tutti il Visconte di Valmont. Giusto per carità. Le minoranze sono simpatiche, specie se non se la tirano da intransigenti. Ma infine sistema e antisistema sono governabili solo dalle maggioranze, perfino da quelle indementite di oggi. Però rifletteteci. Nel nostro orizzonte morale o anche soltanto psicologico, se non vogliamo turlupinarci e dirci le bugie, cioè essere ipocriti, i few sono meglio dei many. Non sarà un caso se nell’Enrico V il caro William Shakespeare ha voluto celebrare il giorno di San Crispino con un celebre discorso in cui luccica e ci travolge di bellezza il gentleman che tutti vorremmo essere, felicemente few anche in terza fila a Rimini: We few, we happy few, we band of brothers. Ecco, a Corbyn e agli altri che celebrano la virtù annientatrice dei many contro i few c’è un solo modo di rispondere con la speranza di una qualche efficacia: citandogli in faccia uno dei versi più squillanti del canone occidentale, scritto – precisa il Bardo – from this day to the ending of the world (da qui alla fine del mondo). Anche le élite nel loro piccolo trovano buoni avvocati difensori.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.