Alessio Villarosa alla presentazione del programma banche del M5s (foto LaPresse)

Botta e risposta su “rettiliani” e Banca d'Italia con Villarosa

On. Alessio Mattia Villarosa

“Il Foglio inverte il significato delle mie parole”. “Nessun travisamento, chi governa dovrebbe studiare sui documenti”

Al direttore – Il giornalista, dr. Luciano Capone, nella prima parte del suo articolo del 29 Gennaio u.s. “Villarosa, il sottosegretario che guardava i video sui rettiliani” utilizza solo parte del mio intervento al convegno organizzato dal sen. Elio Lannutti il 25 gennaio, decontestualizzando e invertendo il significato delle mie parole, in quanto nella parte relativa alla vicenda dei “rettiliani” il giornalista, riportando le mie dichiarazioni, tralascia questa parte: “... tutte queste cose un po’ fuori da quello che viviamo tutti i giorni. Lì invece capii, dato che lavoravo già nel settore, che è proprio una questione di economia, di interessi economici. Nient’altro. Il Mercato è questo, 50 è del pubblico 50 è del privato ...”

   

Nel mio intervento, infatti, lamentavo esattamente l’opposto di quello che sostiene il giornalista e cioè che la presenza di tanti video “eccessivamente complottisti e poco intelligenti” spostano l’attenzione su temi importanti, come quelli relativi alle crisi del sistema bancario, ma utilizzano argomenti irreali. Concetto che ritrovo diverse volte nell’articolo, quando il giornalista dichiara:

- “Non crede a queste storie – non più almeno – ma è attraverso quelle che ha visto la luce”.

- “E così Villarosa, che intellettualmente si è formato sui documentari sui rettiliani”.

   

Per dovere di completezza dell’informazione, vorrei sottolineare inoltre che, nell’articolo, trovo anche altre “imprecisioni” nelle sicure affermazioni del dottor Capone:

- Afferma che non avrei letto il documento della Banca centrale di Svezia che richiamo nel mio intervento, perché: “lo studio non afferma che ‘sia necessario nazionalizzare Banca d’Italia’ e non dice “che ‘quello della Banca d’Italia sia l’unico caso anomalo’”.

   

Come facilmente riscontrabile dal video, al Minuto 8:50, affermo che lo studio “Governing the Governors” evidenzia che la condizione ideale è che le banche centrali siano totalmente pubbliche o quantomeno pubbliche per il 50 per cento. Lo studio ritiene che la vigilanza è testualmente “rinforzata quando è in mano pubblica” e, successivamente, parla nuovamente dell’Italia quando dichiara che “in Italia la proprietà delle quote in mano ai privati non sono state un problema finché il sistema bancario nazionale è rimasto pubblico ma, di fatto, non lo era più nel momento in cui il sistema bancario fu privatizzato” tra i temi del convegno, e in particolare nel mio intervento, c’erano anche le privatizzazioni.

   

Lo studio, parlando sempre della proprietà delle quote continua dicendo “tuttavia, è diventato un problema negli ultimi decenni quando il settore bancario italiano è stato in gran parte privatizzato e la Banca d’Italia avrebbe dovuto far rispettare il diritto della concorrenza sui suoi proprietari”.

   

- Afferma: “Naturalmente Villarosa non sa che i poteri delle banche ... sono pressoché inesistenti ... dice l’articolo 6 dello Statuto”. In questa parte il giornalista decontestualizza totalmente il senso temporale delle mie parole, in quanto nel mio intervento, analizzando la “storia” delle privatizzazioni facevo riferimento allo statuto di Banca d’Italia, in vigore fino al 1992, che all’articolo 19, primo comma così recitava: “Il Consiglio superiore (i soci) nomina e revoca il governatore, il direttore generale e i due vice direttori generali”. E ancora l’articolo 20: “Al Consiglio superiore spetta l’amministrazione generale della Banca”.

  

Inoltre, il limite citato nell’articolo, del 3 per cento è entrato in vigore nel 2013: solo per riportare un esempio, Intesa San Paolo ed Unicredit, prima della riforma del 2013, possedevano oltre il 50 per cento delle quote.

  

Mi chiedo, ritenendo sempre il giornalista e il giornale liberi nell’agire, perché prima di scrivere un articolo così fuorviante e lontano da quello che è il mio pensiero, non si sia richiesta un’intervista o cercato un contatto che avesse potuto chiarire e specificare meglio il senso del mio intervento.

  

Infine, vorrei sottolineare che il riferimento alla mancata distribuzione, da parte del Professor Tria, delle deleghe sia veramente fuori luogo e di cattivo gusto, in quanto non mi sembra opportuno sindacare anche le decisioni di un Ministro pur di colpire l’attenzione dei lettori e, soprattutto, senza conoscerne i reali motivi.

  

Cordialmente,

On. Alessio Mattia Villarosa

   

    

Gentile onorevole, non mi pare di aver travisato il senso delle sue parole. Lei dice: “I primi documentari sui quali ho iniziato a capire il problema erano quasi tutti complottisti … si pensava ai famosi rettiliani”. Lei, dunque, ha “iniziato a capire il problema” bancario guardando documentari sui rettiliani, ma oggi non ci crede più. E infatti noi abbiamo scritto: “Non che Villarosa creda a quelle storie – non più, almeno – ma è attraverso quelle che ha visto la luce”. Concorderà che i video sui rettiliani non sono lo strumento usuale con cui ci si avvicina allo studio della finanza. Detto questo: può negare di aver iniziato a capire le problematiche bancarie guardando video sui rettiliani? Temiamo di no.

  

Per quanto riguarda lo studio della Banca centrale di Svezia, fa piacere che adesso lei riporti correttamente il titolo, ma non ci sono passi avanti sul contenuto. A parte un viroglettato da lei citato non veritiero, lei usa lo studio per giustificare la proposta del M5s di “nazionalizzazione” della Banca d’Italia dicendo, in quel convegno, che secondo questo studio della Sveriges Riksbank le banche centrali devono “essere obbligatoriamente pubbliche e l’unico caso veramente da valutare è la Banca d’Italia”. Non è vero. Quello studio fatto da tre economisti non dice che bisogna nazionalizzare Bankitalia e neppure che sia l’unico caso anomalo al mondo, le converrebbe rileggerlo o, in alternativa, chiedere delucidazioni agli autori (come abbiamo fatto prima di scrivere l’articolo).

  

Passiamo alla questione dell’assetto proprietario di Banca d’Italia. Mi pare che lei ancora non abbia chiara – e per il ruolo che occupa è abbastanza grave – la differenza tra il Consiglio superiore (che non sono “i soci”) e l’Assemblea dei partecipanti, e quali siano i rispettivi poteri. Inoltre è fuori strada anche sul vecchio statuto, che già prevedeva all’articolo 8 un meccanismo di calmieramento e sterilizzazione dei voti: il fatto che nel 2013 Intesa e Unicredit possedessero oltre il 50 per cento delle quote non vuol dire affatto che avessero anche la maggioranza dei voti in assemblea, perché a quel 50 per cento circa di quote corrispondeva il 9 per cento di voti per ognuna delle due banche, all’incirca gli stessi – per fare un esempio – di Generali, che aveva l’8 per cento dei voti con appena il 6 per cento delle quote. Quanto al riferimento al ministro dell’Economia e al nostro “cattivo gusto” nel “sindacare” le sue decisioni, c’è un doppio equivoco. Il primo è di metodo, sul ruolo della stampa, il cui compito è proprio quello di rendere note ed eventualmente criticare le decisioni del governo. Il secondo è invece di merito, sul significato di ciò che abbiamo scritto: la nostra al ministro Tria per non averle dato la delega sulle banche non era una critica, ma un complimento.

Luciano Capone

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