Luigi Di Maio (foto LaPresse)

La rivolta grillina contro lo svilimento del Parlamento

Valerio Valentini

Camere annichilite: grillini in rivolta contro Di Maio. De Bonis (M5s) medita l’addio, Lo Monte (Lega) striglia Salvini

Roma. A trovare la sintesi più efficace è Andrea Cangini. “Il Parlamento è il popolo”. Lo dice rivolgendosi al premier Giuseppe Conte, arrivato al Senato a difendere la manovra – del popolo – appunto, riscritta negli uffici di Bruxelles. E lo dice, l’esponente di Forza Italia, per denunciare “l’evidente spoliazione del Parlamento delle sue funzioni”. Ma in fondo la manovra non è che l’ultima delle materie delicate su cui le due camere, e la varia umanità di deputati e senatori che le frequenta, si vedono ridotte a luogo di ratifica di scelte prese altrove. Quando vengono rimesse al Parlamento, le questioni controverse, lo si fa solo anzi perché l’assemblea certifichi l’impossibilità di decidere: lo si è visto anche ieri, sul tema del Global Compact, il patto transazionale sulla migrazione promosso dall’Onu: tutto rimandato a data da destinarsi, nell’attesa che maturi un’intesa.

 

Ed è anche un po’ per questo continuo sentirsi sviliti nel proprio ruolo di supposti rappresentanti del popolo, che due parlamentari della maggioranza sono particolarmente furiosi. A Montecitorio sarebbe imminente, infatti, il primo caso di ammutinamento leghista, se è vero che Carmelo Lo Monte, avvocato catanese classe ‘56, eletto il 4 marzo sotto le insegne del Carroccio dopo una lunga carriera da democristiano passato per l’Udc, poi autonomista, poi socialista, ha confidato ad alcuni suoi colleghi del gruppo il suo profondo malcontento per le modalità con cui Salvini ha disposto il commissariamento in Sicilia. Un sfogo estemporaneo, quel suo “ma allora io che ci sto a fare, qui?”, che ha mandato in fibrillazione vari deputati della Lega. Anche se lui, come ci spiega nell’intervista a pagine tre, dice “che di lasciare il gruppo non ci penso proprio, al momento, ma il segretario ascolti le nostre richieste”. A cambiare casacca, indossando forse quella di Forza Italia, pare invece intenzionato Saverio De Bonis grillino di Matera già entrato in rotta di collisione col resto del Movimento per la questione dei fanghi in agricoltura, ai tempi del decreto Genova, recentemente destinatario di una sentenza di condanna da parte della Corte dei Conti. 

 

D’altronde sono proprio loro, i Cinque stelle, quelli che più soffrono questa marginalizzazione del Parlamento. Per anni si sono stracciati le vesti per la violata centralità delle camere, hanno gridato al golpe ad ogni questione di fiducia: ora si vedono ridotti al ruolo di schiacciabottoni. E certo l’atteggiamento dei governanti grillini, per i quali il dialogo coi gruppi è spesso più un impiccio che non un’occasione di confronto, non aiuta a dissipare i malumori neppure nei nuovi arrivati, ammaliati con grandi promesse un anno fa, circa, e ora costretti a ricredersi sul mito dell’uno che vale uno. E così raccontano che a inizio dicembre, mentre era già impantanato nel pasticcio – creato in gran parte da lui stesso – dell’ecotassa, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Davide Crippa, ai suoi deputati che gli chiedevano un chiarimento sulla questione del biogas, ha risposto con un secco “Avete rotto”, e forse ha poi aggiunto anche qualcos’altro che è meglio non riferire. Ma insomma: “Si fa così, punto”.

 

E del resto il 26 novembre, una settimana dopo la pubblicazione della lettera dei 19 deputati grillini contrari ai contenuti al decreto sicurezza di Salvini, il capogruppo Francesco D’Uva ha riunito nella Sala Tatarella il manipolo di dissidenti, e insieme a loro ha convocato anche i responsabili delle delegazioni nelle varie commissioni, sforzandosi in una fermezza che non gli appartiene granché: “Se si ripeteranno fatti del genere, prenderemo provvedimenti”. Alle lamentele che proseguivano, sempre più diffuse, sulla mancanza di coinvolgimenti dei deputati, i vertici del M5s hanno provato a replicare come hanno potuto. E cioè con delle riunioni finalizzate a illustrare in anticipo i contenuti dei provvedimenti già calendarizzati. Si è iniziato col dl semplificazione, riassunto con delle slides in un incontro, qualche giorno fa, tra i responsabili dell’ufficio legislativo del M5s e i capigruppo delle commissioni, con questi ultimi indaffarati a fotografare al volo le diapositive e a inoltrare nelle chat interne gli scatti.

 

D’altronde, i primi segnali di questa incomunicabilità tra Parlamento e governo erano arrivati già al tempo del crollo del ponte Morandi, quando l’annichilimento di Montecitorio e Palazzo Madama era stato giustificato in virtù dell’emergenza da affrontare in tutta fretta, anche se poi quell’urgenza tanto esibita s’era risolta in una attesa inspiegabile di 45 giorni. Ed è successo, poi, anche in tema di giustizia: come quando, a inizio novembre, con l’anticorruzione da portare in Aula, la presidente grillina della commissione Giustizia alla Camera, Giulia Sarti, era stata costretta a inventarsi l’impossibile per prendere tempo, nella speranza che Salvini e Di Maio trovassero intanto l’accordo risolutivo. Se lo ricorda bene, quel passaggio, anche Giuseppe Brescia, a capo della commissione Affari costituzionali e anche lui obbligato, in quei giorni, a gestire le tensioni nella maggioranza. E però predica prudenza: “Semplicemente – dice – in questo inizio di legislatura si è messa troppa carne al fuoco, e in futuro di sicuro ci sarà più dialogo”. Un auspicio? “Una certezza” ribatte risoluto. E se gli si fa notare che il tono è quasi quello della minaccia, che non della convinzione, sorride: “Questa è una vostra libera interpretazione”.

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