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Veneto felix

Agazio Loiero

Lo scontro sull’autonomia della regione (e sul ruolo di Zaia) può far scoprire le carte al M5s

Al direttore - Quasi di soppiatto, in un momento tanto delicato della sua vita, il governo gialloverde si accinge ad affrontare un tema tra i più scabrosi del suo percorso: l’autonomia del Veneto. Un obiettivo su cui spinge la ministra Erika Stefani, leghista non a caso destinata, più che da Salvini da Zaia, al ministero per gli Affari regionali. Il suo compito è quello di portare a compimento la secessione del Veneto, vizio d’origine, questa volta in versione ridotta, della tradizione della Lega di Bossi. Adesso ci prova Zaia.

 

Il presidente della regione Veneto, appare intriso di un venetismo a tratti radicale – come quando, dopo il referendum dello scorso anno, per qualche giorno rivendicò lo statuto speciale della sua regione – e a tratti simbolico – come quando fece una battaglia per l’esposizione del Leone di San Marco su tutti gli edifici pubblici regionali. Il personaggio è così: s’accende spesso, ma dopo un po’ si quieta. Naturalmente ha le sue ambizioni, al momento ben nascoste. Sa di avere un vantaggio nel rapporto con l’attuale segretario del Carroccio: un personale consenso territoriale, che gli conferisce, all’interno della Lega, l’unico ruolo di potenziale alternativa a Salvini.

 

Non so dire come la vicenda politica dell’autonomia andrà a finire.

 

Utilizzando il 3° comma dell’articolo 116 della Costituzione, introdotto qualche anno fa (per colmo d’ironia) dalla riforma costituzionale del centrosinistra, tutte le regioni possono aspirare alla gestione autonoma di alcune competenze. Il nodo sono le risorse che il Veneto pretenderebbe in misura tanto alta (si è parlato di nove decimi del gettito fiscale della regione) da far saltare la solidarietà costituzionale per i territori meno fortunati, tutti addensati al sud. Già oggi la situazione del Mezzogiorno è drammatica. Solo che non si può dire. Purtroppo nell’Italia dei nostri giorni se si scrivono alcune verità sul sud si rischia di essere segnati a dito. Il motivo? Il sud deve restare ben fissato nello stereotipo corrente negli ultimi decenni: un territorio da demonizzare a piacimento, limitato a funzione ancillare di mercato. Un mercato che riceve dal Nord una gamma infinita di prodotti, dal settore alimentare a quello della sanità, perché ormai anche la sanità ha un suo fiorente mercato in questa parte di territorio. Sotto un doppio aspetto. Prodotti sanitari importati al Sud e pazienti meridionali trasferiti al Nord alla ricerca di cure più adeguate. Al netto delle colpe della classe dirigente meridionale, che sono tante, bisogna convenire che il ruolo della Lega in questi circa trent’anni di demonizzazioni e di invettive costanti ha svolto un ruolo incisivo nel costruire un’idea esclusivamente parassitaria e mafiosa di Mezzogiorno. Lo stesso classico slogan usato dal Bossi degli esordi “Roma ladrona” non suscita un fremito da contrappasso in un paese smemorato.

 

Andiamo al dunque. Come si comporterà, su un tema tanto delicato per la sopravvivenza del Sud, il Movimento di Grillo che proprio in questo territorio ha trovato nelle recenti elezioni politiche un consenso plebiscitario? Una via d’uscita sarebbe a portata di mano. Di Maio, prima di varare la legge delega sull’autonomia pretesa dalla Lega, potrebbe in nome dell’unità nazionale, vincolare il fondo perequativo, rendendolo intangibile. Riceverebbe il plauso anche dal presidente Mattarella, il quale dell’unità è il garante. Bisognerebbe a tale fine trovare un po’ di coraggio. D’altra parte il vicepremier grillino non può correre il rischio che la situazione politica precipiti per un’insurrezione dei suoi parlamentari eletti in grandissima parte nel sud. In tal caso Salvini non avrebbe rivali per fare il suo ingresso trionfale a Palazzo Chigi, considerato che Zaia, l’unica alternativa, ha già un ruolo politico. Di Maio, al contrario di rivali, ne avrebbe due. Uno di destra, Di Battista, e uno di sinistra, Fico. Il primo molto più pericoloso del secondo perché politicamente disoccupato.

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