Immigrati africani in piazza Duca d'Aosta, a Milano (foto LaPresse)

L'integrazione è ormai una scelta obbligata

Redazione

Cosa dice il rapporto Ispi-Cesvi sull’immigrazione. Gli sbarchi calano e si risparmia, ma adesso bisogna investire per non continuare a spendere inutilmente

Roma. “Conviene investire nell’integrazione di chi è sbarcato in Italia negli ultimi anni? E se sì, con quali risorse?”. Nel momento in cui, secondo un sondaggio Ixé, quasi i tre quarti degli italiani si dicono favorevoli alle posizioni di Matteo Salvini sull'immigrazione, questa non è una domanda da poco. Tanto più che nei sogni sovranisti i soldi servono a costruire redditi di cittadinanza e a finanziare una riduzione della pressione fiscale. L'integrazione degli stranieri sembra lontana anni luce dall'agenda del governo giallo-verde. Eppure il think tank Ispi ela onlus Cesvi nel dossier “Migranti: la sfida dell’integrazione” si interrogno sul problema e sostengono che se da un lato “lavorare per lo sviluppo nei paesi di origine è fondamentale” dall’altro “non investire nell’integrazione dei migranti giunti in Italia negli ultimi anni significa disperdere capitale umano, con conseguente perdita di entrate economiche e fiscali, e più in generale di ricchezza del paese. Al contrario, allocare maggiori risorse oggi massimizzerebbe i ritorni futuri”. Perché di fatto oggi si spende in accoglienza ma non si investe in integrazione con il risultato che, se le cose dovessero rimanere così, avremmo maggiori spese future da sostenere per la massa di migranti che vivono in Italia senza renderli produttivi.

    

La premessa: “Al diritto alla mobilità umana si affianca il diritto di ciascuno stato sovrano a regolare i flussi migratori che attraversano i propri confini”, scrivono i ricercatori dell'Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano. “Trovare un equilibrio sostenibile tra questi diritti è una sfida per tutti: quello che è certo, comunque, è che ogni paese dovrebbe ambire a 'governare' i processi migratori e non semplicemente subirli”. Nessuna presa di posizione ideologica, dunque. Si tratta di pesare i costi e i benefici che deriverebbero da un più sistematico processo d’integrazione dei migranti presenti in Italia.

  

L'immigrazione ha un costo

Il costo della “prima accoglienza” degli immigrati che giungono in Italia nel 2016 è stato per 1,7 miliardi (almeno) sulle spalle dello stato italiano, contro poco più di 46 milioni messi sul tavolo dalla Ue. Il centro studi stima il costo medio annuo di ciascun migrante in 13.104 euro (1.092 euro al mese). C’è inoltre una spesa ulteriore a carico dello stato nel gestire il sistema di accoglienza: quella amministrativa del processo di valutazione della domanda di asilo, che la Corte dei conti italiana stima in circa 204 euro a domanda, portando il totale a 13.308 euro per migrante nel corso di dodici mesi.

  

Primo appunto d'interesse: dallo scorso anno gli sbarchi in Italia sono diminuiti di oltre l’80 per cento. E questa, sostiene la ricerca, è un’importante finestra di opportunità per il paese. “Il risparmio della spesa pubblica relativo ai primi dodici mesi di calo degli sbarchi ammonta a circa 1 miliardo di euro. Negli anni successivi al primo la stima media del risparmio sfiora i 2 miliardi e, nello scenario massimo, supera i 2,5 miliardi”. Cosa significa? Che “il minor numero di stranieri che giungono in Italia per vie irregolari permette di spostare l’attenzione verso quelli che sono già presenti sul territorio, chiedendosi come fare per integrarli al meglio”.

  

Lo studio rileva anche che, se decidessimo di allocare questi soldi risparmiati in maniera diversa, magari per finanziare tagli di imposta, creeremmo “un minor livello d’integrazione degli stranieri”. Il problema è che ciò “deprime la crescita economica e le entrate fiscali, e rischia di rendere rifugiati e richiedenti asilo un peso per le casse dello stato per gli anni a venire”. Spendere di più in politiche per l’integrazione nel presente, oltre che una scelta obbligata e, a questo punto di carattere strategico-emergenziale, avrebbe insomma un effetto moltiplicatore, che dovrebbe “generare a cascata una quantità di benefici futuri che vanno ben al di là dello scenario in cui la spesa per l’integrazione rimanesse simile a quella odierna. In sostanza, un aumento significativo delle risorse dedicate alle politiche e ai servizi connessi all’integrazione degli stranieri potrebbe generare tali e tanti benefici nel futuro che il costo dell’investimento non soltanto si ripagherebbe (mentre così non accadrebbe con spese simili a quelle odierne), ma avrebbe ricadute positive sulle finanze pubbliche e, da qui, sull’intera popolazione italiana”.

  

Insomma, il momento per investire in integrazione è adesso: conviene allo stato, e quindi a cittadini e cittadine, perché genera crescita economica e sviluppo. Al contrario, “il gap d’integrazione registrato in Italia tra migranti – in particolare richiedenti asilo e rifugiati – e nativi (inclusi i migranti di seconda e successiva generazione che abbiano già ottenuto la cittadinanza italiana), genera maggiori costi sociali che si ripercuotono e gravano a cascata sull’intera popolazione”.

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