La nave Open Arms arriva al porto di Barcellona. Foto LaPresse

Giuseppe Brescia (M5s) ci dice perché sui migranti Salvini sbaglia

Valerio Valentini

“Non chiudiamo i porti: è controproducente”, dice il presidente grillino della commissione Affari costituzionali

Roma. La prima cosa che tiene a sottolineare, Giuseppe Brescia, è che le sue “non sono critiche a Matteo Salvini”. Si tratta, semmai, “di consigli che mi permetto, da persona competente in materia, di dare al mio ministro dell’Interno sulla questione dei migranti”. Sta di fatto che il deputato grillino, barese classe ’83, lunedì scorso ha preso carta e penna e ha scritto al segretario della Lega. “L’ho invitato a riferire in commissione”. La prima, quella degli Affari costituzionali: di cui Brescia, vice capogruppo vicario del M5s a Montecitorio, è presidente. “L’audizione non è stata ancora calendarizzata, ma spero – dice – che possa svolgersi prima della pausa estiva”. E saranno pure “semplici sollecitazioni”, quelle espresse da Brescia, per carità; ma a leggerle una in fila all’altra si nota un certo scetticismo nei confronti della strategia securitaria imposta dal leader del Carroccio. A partire dalla circolare diffusa dal Viminale il 5 giugno scorso. “Una stretta del riconoscimento di tale protezione”, scrive Brescia, “potrebbe portare non solo a un aumento dei ricorsi, ma anche e soprattutto a un aumento degli irregolari”. Una osservazione non proprio irrilevante. “Se quella circolare venisse applicata alla lettera – spiega Brescia al Foglio – si finirebbe con l’avere un numero maggiore di irregolari. Sarebbero 60 mila a ritrovarsi in questa condizione, in virtù della mancata concessione di protezione umanitaria”. Ci sarebbe da lavorare con più attenzione sui rimpatri, certo, come sta scritto anche nel contratto grillo-leghista. “Ed è una direzione verso cui muovere, quella: per questo gli accordi bilaterali vanno estesi. Ma che fare con tutti i migranti che intanto restano in Italia?”.

  

E insomma, a volerla semplificare, la questione da porre a Salvini, secondo Brescia, è questa: “Caro Matteo, se noi restringiamo le maglie dell’accoglienza e dunque la platea di coloro che vanno considerati ‘regolari’, ma nel frattempo non siamo in grado, com’è del resto inevitabile, di gestire tutti quelli che da questa platea resterebbero esclusi, creiamo un bacino di persone che rischiano di finire attratti in circuiti pericolosissimi, quelli del caporalato e della criminalità, data l’assenza di una alternativa legale e virtuosa”. Laureato in Scienze della comunicazione prima di trasferirsi per qualche mese in Australia in cerca di una fortuna che non ha trovato se non tornando a Bari e intraprendendo la carriera politica coi Cinque stelle, Brescia ci tiene comunque a rivendicare che, nella scorsa legislatura, sul tema dell’immigrazione ha lavorato e studiato molto. E cita dei dati: “In Italia solo il 7 per cento dei richiedenti asilo ottiene lo status di rifugiato. E non è pensabile che, dall’oggi al domani, rimpatriamo il restante 93 per cento. Anche perché la protezione umanitaria va comunque concessa a moltissimi immigrati che fuggono da situazioni disagiatissime, se non disumane”. E di sicuro nel deputato grillino che chiede al ministro dell’Interno di “abbassare il livello di conflitto e guardare con volto umano a questo flusso della disperazione che arriva sulle nostre coste” si rintraccia senza fatica il trasporto di chi è stato per anni attivista di Emergency, ma subito ci si accorge che l’analisi di Brescia è votata piuttosto al pragmatismo. E infatti, quando si arriva a parlare del caso della nave Aquarius, e di quelli analoghi che sono poi seguiti, il deputato grillino osserva che “la strategia della chiusura dei porti è innazitutto controproducente, visto che quando impediamo a un’imbarcazione di attraccare ad Augusta, ma poi la dobbiamo accompagnare con le nostre motovedette fino a Valencia, causiamo un dispendio di forze e di soldi maggiore, oltreché imporre ulteriori sacrifici alla nostra capitaneria di porto. Se invece quello che stiamo cercando di fare è mostrare i muscoli all’Europa, pretendendo una effettiva condivisione delle responsabilità, allora meglio sarebbe minacciare la chiusura degli hotspot sul nostro territorio a fronte della mancata redistribuzione dei 90 mila richiedenti asilo. Quella sì che sarebbe un’arma di contrattazione efficace”.

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