Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Trombati pentastellati: nel M5s “nessuno deve restare indietro”

Valerio Valentini

Dal possibile candidato governatore in Emilia ai sottosegretari, così gli sconfitti del 4 marzo vengono “sistemati” da Di Maio & Co.

Roma. Siccome il ferro va battuto finché è caldo, Max Bugani non ha perso tempo. Il M5s aveva espugnato Imola da appena poche ore, e lui subito, all’indomani delle amministrative, lanciava l’assalto alla regione. In Emilia si voterà nel 2019, ma il consigliere comunale bolognese, uomo fidatissimo di Davide Casaleggio e dunque socio di Rousseau, si diceva già certo di avere individuato l’uomo giusto per innalzare la bandiera con le cinque stelle sul balcone di Viale Aldo Moro: Marco Montanari. Ovvero l’anticonformista esperto di terrorismo internazionale, classe ‘71, già consulente della Farnesina e osservatore elettorale per l’Osce, convinto della necessità di smantellare i servizi segreti interni di tutti i paesi in quanto incompatibili “con una società democratica”. E forse sarà stato anche per queste sue idee che, quando ha tentato la fortuna elettorale, non gli è andata benissimo. E’ successo alle ultime politiche, per le quali era stato arruolato come uno dei “supercompetenti” da Luigi Di Maio e schierato sull’uninominale del Senato tra la sua Reggio Emilia e Parma. Arrivò terzo, staccatissimo dai suoi rivali. E tuttavia, se alla fine dovesse ottenere la candidatura per le regionali del prossimo anno, non sarebbe che uno dei tanti sconfitti del 4 marzo a venire comunque sottratto all’irrilevanza politica.

 

La stessa sorte, ma con promozione certa e immediata, è toccata del resto anche a un suo conterraneo: pure lui fatto correre su un uninominale – alla Camera, in quel di Sassuolo – e pure lui uscito perdente, dietro la candidata del centrodestra Benedetta Fiorini. Poco male, però, perché Michele Dall’Orco da Pavullo nel Frignano, trentaduenne perito chimico ed ex deputato, incrollabile fustigatore del lavoro domenicale e dell’alta velocità (la Torino-Lione o la Tav fiorentina, non importa), a tempo debito è stato subito premiato con una poltrona da sottosegretario al ministero dei Trasporti, dove supporterà Danilo Toninelli.

 

Un posto al sole, nell’esecutivo grilloleghista, lo ha ottenuto anche il senatore uscente Luigi Gaetti, anatomopatologo mantovano che non si era neppure ricandidato, il 4 marzo, avendo già esaurito i suoi due mandati, promettendo urbi et orbi che sarebbe tornato a fare il medico. E invece – “ma solo in virtù delle mie competenze in tema d’antimafia”, garantisce lui – affiancherà Matteo Salvini al Viminale. Avranno invece un ufficio a Via Veneto Giorgio Sorial e Francesco Vanin: ex deputato bocciato dai suoi elettori bresciani il primo, candidato alle regionali friulane del 2013 e poi portaborse a Bruxelles il secondo, collaboreranno entrambi con Luigi Di Maio sulla risoluzione delle crisi aziendali. Tutta gente, ça va sans dire, che ha pieno diritto di riscattare, col proprio ben fare, le non brillanti prestazioni elettorali: ma che pure, a dovere utilizzare il lessico d’antan del Sacro Blog, andrebbe annoverata tra i “trombati sistemati”, come al solito, “con incarichi di sottogoverno”.

 

E ovviamente non c’è solo l’esecutivo nazionale, come centro per l’impiego. Anzi, un ufficio di collocamento di straordinaria efficacia sembra essere l’amministrazione grillina di Torino. Chiara Appendino, in questo senso, si sta mostrando particolarmente longanime. Ad Alberto Sasso, ad esempio, ha affidato (senza bando) l’incarico di realizzare il dossier per la candidatura olimpica del 2026, aiutando così l’architetto amico di Beppe Grillo candidato invano nell’uninominale di Mirafiori per la Camera. A Marco Scibona, invece, ha assegnato, in rappresentanza della città metropolitana (a guida Cinque stelle), un posto nel cda di Ativa, società che gestisce tangenziali e autostrade in Piemonte. Il che un po’ stupisce, visto che l’ex senatore grillino, tradito dalla sua Valsusa il 4 marzo, è un No Tav storico e militante, peraltro assai critico nei confronti della fregola a cinque cerchi della sindaca di Torino (“Il No alle Olimpiadi resta la conditio sine qua non, per me, per restare nel M5s”, ripeteva ancora un paio di mesi fa). Era rimasto disoccupato, visto che l’azienda ferroviaria per cui lavorava prima dell’approdo a Palazzo Madama, la Codebò, era nel frattempo fallita. Ma per il Movimento, si sa, “nessuno deve rimanere indietro”.