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Un telefono acceso in aereo spiega perché combattere la società nemica degli esperti

Claudio Cerasa

Un’autorità che si esprime con la fiducia è una conquista della modernità. L’uno vale uno è diventato un pericolo per la società della competenza. Non pensate alla politica, pensate al vostro aereo

Nel dicembre del 2016, il direttore del New Yorker, David Remnick, pubblicò una vignetta profetica, destinata a diventare il simbolo di una precisa e pericolosa caratteristica della società contemporanea: il disordine dell’anarchia spacciato come una naturale evoluzione della nostra democrazia. Nella vignetta, un signore molto indignato, a bordo di un aereo, sceglie improvvisamente di alzarsi in piedi e decide di arringare i passeggeri denunciando uno scandalo a suo avviso auto evidente. “Questi piloti compiaciuti hanno perso completamente il contatto con passeggeri normali come noi! Ora: chi pensa che dovrei essere io a far volare l’aereo?”. Dalle poltrone dell’aereo, si alzano diversi passeggeri che con sguardo fiero si rivolgono al capo popolo facendo su e giù con la testa e alzando la mano. Sì, buona idea, basta con la casta, basta con gli esperti, basta con le élite, ora è il momento del popolo. Molti di voi, di fronte a quella vignetta, un anno e mezzo fa, avranno probabilmente sorriso, pensando a una società dell’uno vale uno terribilmente possibile ma fortunatamente lontana. Molti di voi, oggi, rivedendo quella vignetta avranno probabilmente un atteggiamento diverso e probabilmente penseranno che quel mondo terribilmente possibile è diventato sfortunatamente vicino. E che quella vignetta non è più solo satira ma in qualche modo è diventata verità.

 

  

E’ diventata il nostro presente. Potremmo provare a spiegarvi il perché addentrandoci in un qualche facile ragionamento politico. Ma per capire le drammatiche conseguenze della società dell’uno vale uno potrebbe essere sufficiente per ciascuno di voi prendere un aereo e guardarvi intorno per un attimo poco prima del decollo o poco prima di un atterraggio. Non siamo ancora arrivati alla scena della vignetta ma ci siamo quasi. E non stiamo esagerando. Sapete tutti cosa succede quando un aereo sta per preparare un decollo. Gli assistenti di volo, a un certo punto, ripetono in almeno due lingue che fino a che l’aereo non sarà atterrato è obbligatorio spegnere i propri dispositivi elettronici o inserire la modalità aereo su tablet e su smartphone. Si tratta di una regola importante, che tutti conosciamo, e la ragione per cui gli assistenti di volo ci chiedono di eliminare ogni tipo di connessione del nostro telefonino per la durata del nostro volo è semplice da spiegare: se in un aereo un telefono viene lasciato accesso può produrre nelle cuffie dei piloti un rumore fastidioso, simile a quello prodotto dal nostro telefono quando si trova in prossimità di un altro apparecchio elettronico, e quando si vola su un aereo produrre quel rumore può creare problemi ai piloti, che potrebbero capire in modo non corretto dalle proprie cuffie le comunicazioni della torre di controllo.

 

In realtà non è ancora chiaro fino a che punto i cellulari possano davvero mettere in pericolo la sicurezza del volo: le frequenze usate dai piloti sono diverse da quelle utilizzate dai cellulari, ma non è escluso che un telefonino mentre trasmette e riceve possa in qualche modo creare interferenze – e se la schermatura delle strumentazioni dovesse avere una falla, cosa che i passeggeri ovviamente non possono sapere, le possibilità che un cellulare crei un’interferenza ovviamente aumentano. Sintesi estrema: persone più esperte dei passeggeri ogni giorno ripetono un’infinità di volte ai passeggeri che per ragioni di sicurezza il nostro telefono deve essere spento. E ogni giorno persone meno esperte dei piloti e degli assistenti di volo scelgono di fare quello che ciascuno di noi da tempo non ha potuto fare a meno di notare prendendo un qualsiasi aereo: ascoltano le indicazioni degli assistenti di volo, percepiscono che trasgredire quelle regole può creare un pericolo all’aereo, e dunque a se stessi, e poi fanno il cavolo che gli pare.

 

Secondo Giddens, “un sistema esperto è un sistema di realizzazione tecnica o di competenza professionale che organizza e influenza in modo continuativo ampie aree negli ambienti materiali e sociali nei quali viviamo oggi. Vale per la medicina, vale per l’ingegneria, vale per l’università, vale per un aereo. In aereo, per esempio, la nostra fiducia va al pilota ma soprattutto va all’aeromobile e quindi al sistema esperto di cui fa parte” 

 

E’ sufficiente guardarsi in giro su un aereo, è sufficiente guardare il vostro vicino di posto, è sufficiente drizzare le vostre antenne quando l’aereo sta per decollare (quanti drin drin avete ascoltato che vi hanno fatto entrare nel panico non dopo ma prima di un atterraggio) e improvvisamente vedrete le stesse scene viste da chi scrive negli ultimi giorni. Telefoni messi in modalità silenziosa piuttosto che in modalità aereo, chat su WhatsApp che continuano a essere aggiornate durante il decollo, passeggeri ipocondriaci che giustamente assumono un colore puffo di fronte al proprio vicino di posto che continua a inviare messaggi quando non è più consentito inviare messaggi e un senso di impotenza da parte di chi rispetta le regole e non sa come comportarsi di fronte al trasgressore seduto accanto a lui: glielo dico o non glielo dico?

 

Ora: non è necessario avere una laurea in ingegneria aerospaziale per ricordare che se un esperto chiede a un non esperto di fare una cosa è preferibile ascoltare il competente e non stare ad ascoltare il non competente. Siamo sicuri che gli amici del Codacons non la penseranno come noi, ma in una società con la testa sulle spalle chi ha la conoscenza insegna, chi non ha la conoscenza ascolta. Non c’è molto altro da dire. Un pilota non vale come un passeggero. E la teoria farlocca dell’uno vale uno se applicata in circostanze dove un errore può costarti la vita è ancora più pericolosa di un sistema tale e quale scelto per decidere le persone deputate a guidare un paese.

 

Eppure la vignetta del New Yorker, che un tempo ci sembrava terribilmente lontana, oggi è drammaticamente vicina perché decine e decine di persone, quando salgono su un aereo, se ne infischiano di ascoltare le regole e fanno di testa propria. Nel migliore dei casi, chi non ascolta l’esperto su un aereo lo fa perché sulla base di un proprio convincimento pensa di non correre alcun rischio. Nel peggiore dei casi, chi non ascolta l’esperto su un aereo lo fa perché pensa che come tutti gli esperti il pilota lo stia ingannando.

 

Avere un’autorità che si esprime con la fiducia, e non solo con la forza, è una delle grandi conquiste della modernità. Ma una società in cui la sfiducia nell’autorità arriva a mettere a rischio la propria vita è una società in cui chi rispetta le regole non può più permettersi di non ribellarsi al proprio vicino di posto che prima di spegnere il telefono aspetta di veder spuntato il proprio messaggio su WhatsApp. Forse è arrivata l’ora di ribellarsi ai professionisti della ribellione 

 

E’ lo stesso principio che porta molti genitori a sentirsi in diritto di processare un insegnante sulle proprie chat di WhatsApp – chi sei tu per giudicare i miei figli? E’ lo stesso principio che porta alcuni genitori ad andare a scuola a picchiare i professori – chi sei tu per rimproverare i miei figli? E’ lo stesso principio che porta a considerare la difesa delle gerarchie come se fosse un ostacolo alla naturale definizione di una sana democrazia – come fai, tu esperto, a non capire che la democrazia è il potere del popolo, nel senso che deve essere il popolo senza intermediazioni a decidere quello che vuole il cittadino? E’ lo stesso principio che porta a considerare la presenza di un non competente alla guida di un’istituzione una garanzia di affidabilità per difendersi dalla casta di quegli esperti che-hanno-perso-completamente-il-contatto-con-i-cittadini-normali-come-noi.

 

Alla base della ribellione che matura ogni giorno su un aereo contro la cricca degli esperti e che si manifesta con una semplice e pericolosa trasgressione con un telefonino vi è un sentimento che in molte culture politiche è diventato predominante e che in alcuni paesi (indovinate quali) è diventato un mantra di governo. Uno vale uno. Un esperto vale come un non esperto. Un non scienziato vale come uno scienziato. Un incompetente vale come un competente. E una democrazia per essere pienamente funzionante ha bisogno di abbattere per quanto possibile il principio di gerarchia.

 

Anthony Giddens, grande intellettuale inglese, uno dei teorici della Terza Via, anni fa spiegò la modernità con la teoria del “sistema esperto”. E lo fece, Giddens, proprio attraverso l’esempio di come vola un aereo. Secondo Giddens, “un sistema esperto è un sistema di realizzazione tecnica o di competenza professionale che organizza e influenza in modo continuativo ampie aree negli ambienti materiali e sociali nei quali viviamo oggi. Vale per la medicina, vale per l’ingegneria, vale per l’università, vale per un aereo. In aereo, per esempio, la nostra fiducia va al pilota ma soprattutto va all’aeromobile e quindi al sistema esperto di cui fa parte”. La fiducia nell’esperto è conseguenza della fiducia nell’impegno per possedere determinate competenze specializzate. Ciascuno di noi, anche se non lo sa, quando sale su un aereo ha fiducia che l’aereo non precipiterà benché sia probabile che non abbia la più pallida idea di come questo possa avvenire. Avere un’autorità che si esprime con la fiducia, e non solo con la forza, è una delle grandi conquiste della modernità. Ma una società in cui la sfiducia nell’autorità arriva a mettere a rischio la propria vita è una società in cui chi rispetta le regole non può più permettersi di non ribellarsi al proprio vicino di posto che prima di spegnere il telefono aspetta di veder spuntato il proprio messaggio su WhatsApp. Forse è arrivata l’ora di ribellarsi ai professionisti della ribellione. Vale quando si parla di un aereo. Vale quando si parla della nostra democrazia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.