Luca Lanzalone il 22-11-2017, appena nominato nuovo presidente di Acea

Le dimissioni a metà di Lanzalone creano malumori in Acea

Valerio Valentini

Il superconsulente, finito ai domiciliari per l’inchiesta sul cosiddetto “sistema Parnasi”, ha lasciato la presidenza della municipalizzata romana ma non il suo scranno nel consiglio di amministrazione 

Roma. C’è chi garantisce, nella cerchia dei grillini capitolini più fedeli a Virginia Raggi, che sia solo questione di tempo. Quello, cioè, necessario al diretto interessato, al momento impelagato in faccende assai più tribolate, per “fare gli opportuni” (e non meglio precisati) “passaggi burocratici”. Può darsi. Intanto, però, la stranezza permane. E sta nel fatto che Luca Lanzalone, il superconsulente arrivato da Genova a Roma, via Livorno, a miracol mostrare, e poi finito agli arresti domiciliari per l’inchiesta sul cosiddetto “sistema Parnasi, si è dimesso ma non troppo. Ha lasciato, infatti, la presidenza di Acea, assegnatagli come “premio” (Di Maio dixit, salvo poi goffamente ritrattare) per il suo lavoro nella trattativa sullo stadio di Tor di Valle; ma non ha rinunciato, almeno per ora, al suo scranno nel consiglio di amministrazione della stessa municipalizzata romana.

   

D’altronde, l’inflessibile capo politico del M5s, era stato categorico: “Per reati così gravi – aveva sentenziato il 14 giugno scorso in riferimento alle accuse formulate dai pm di Piazzale Clodio a carico dell’avvocato genovese – da noi, nel M5s, non esiste presunzione d’innocenza”. E dunque, concludeva il ministro del Lavoro e dello Sviluppo davanti ai microfoni di Rtl, “Lanzalone, presidente di Acea, si deve dimettere”.

   

Il problema, però, è che giovedì mattina, Di Maio non aveva specificato bene da cosa, dovesse dimettersi, il fido Luca: il quale, per tanto, dal cda ha deciso di non andarsene. E così, da giorni, ai piani alti dell’azienda c’è chi storce il naso. I malumori, in particolare, si sono inaspriti giovedì sera, quando i consiglieri dell’azienda si sono riuniti per eleggere il nuovo presidente.

   

La scelta, alla fine, è ricaduta su Micaela Castelli, quarantasettenne romana, esperta di diritto finanziario con una specializzazione in Bocconi conseguita nel 2001, prima di fare esperienza in vari studi legali e società del mondo bancario, compreso un decennio – o poco meno – trascorso in Borsa italiana Spa. “Professionista seria e discreta” , dice di lei chi la stima. “Non proprio una donna di polso”, precisa invece chi scommette che la sua sua sarà “una presidenza di transizione”. Si vedrà.

   

Quel che è certo, invece, è che la sua nomina è stata, almeno in parte, una decisione obbligata. Lo statuto di Acea, infatti, parla chiaro, e fissa i limiti relativi al numero dei membri del cda: non meno di cinque, non più di nove. E nove, appunto, sono quelli attuali, compreso Lanzalone. Ecco perché pescare all’esterno non si poteva: bisognava per forza scegliere all’interno del cda attuale. E così la Castelli, che nel cda siede dall’aprile del 2017, è stata promossa. E inevitabilmente qualcuno ha mugugnato. Lanzalone, per carità, ha dalla sua il fatto che non c’è alcuna norma a obbligarlo a un ulteriore passo indietro. E del resto, al momento, non ha nessuna condanna. “Va bene il garantismo – ribattono in Acea – ma l’opportunità imporrebbe certe scelte”. In ogni caso, i vertici della municipalizzata non sono rimasti del tutto passivi, come dimostra, del resto, anche un significativo passaggio del comunicato diramato al termine della riunione di giovedì. “Il Consiglio di amministrazione – vi si legge – ha ritenuto di avviare una verifica, attraverso il Collegio sindacale, in merito alla permanenza in capo all’ex presidente dei requisiti necessari per ricoprire la carica di Consigliere di amministrazione di Acea Spa”. Insomma, se non ci fosse, nei prossimi giorni, un atto di galanteria da parte di Lanzalone, potrebbe arrivare un provvedimento interno a liberare un posto nel cda. Questione di tempo, dunque, in ogni caso.

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