Giuliano Amato presidente del Consiglio nell'Aula di Montecitorio. Alla sua destra, Nicola Mancino (foto LaPresse)

C'è già il primo record della legislatura: 83 giorni senza governo

Valerio Valentini

È lo stallo più lungo della storia della Repubblica. Battuto il 1992 quando ci vollero quasi tre mesi per formare l'esecutivo guidato da Giuliano Amato. Mancino: “All'epoca si trattava di una crisi legata alla fine di una formula politica”

Dacché i record, secondo la vulgata, sono fatti per essere superati, era pur inevitabile che prima o poi accadesse. “Dunque perché scandalizzarsi?”, sorride Nicola Mancino. Da oggi, quello in corso è lo stallo più lunga della storia italiana. Mai un avvio di legislatura aveva richiesto tanto tempo - e contorcimenti, e tatticismi - perché si arrivasse alla formazione di un governo. Neppure nel 1992, quando ci vollero 83 giorni - tanti quanti ne sono passati dal 4 marzo ad oggi, senza che nulla di definitivo sia stato concluso - perché Giuliano Amato potesse portare il suo esecutivo a giurare al Quirinale. Tra quei ministri c'era anche Mancino, che ora osserva con un certo apparente distacco, la situazione politica attuale. 

 

Nota differenze, Mancino, tra quella crisi e questa?

“Una sicuramente. All'epoca si trattava di una crisi legata alla fine di una formula politica, quella del centrosinistra, e di un'epoca: la Prima Repubblica era ormai al tramonto. E non a caso quella di allora fu una crisi dovuta alla deflagrazione di Tangentopoli e alla relativa pioggia di avvisi di garanzia. Lo stallo di oggi è piuttosto dovuto alla faticosa nascita di qualcosa di nuovo, e di ancora indefinito. Poi, però, c'è anche un'altra differenza, più importante”.

 

Quale?

“Anche quella fu una crisi lunga e faticosa, ma tutto si svolse nel pieno rispetto della Costituzione. In questi due mesi invece abbiamo visto una serie lunghissima di sgrammaticature e anomalie”.

 

A cosa fa riferimento?

“Abbiamo due partiti, Lega e M5s, che hanno stretto di fatto un accordo tra loro, anzi un contratto, stabilendo maggioranza, programma e nomi del nuovo governo, e poi sono andati al Quirinale ad informarne il capo dello stato”.

 

E sulla scelta del premier?

“Anche qui, un confronto tra allora e oggi mette a nudo tutte le bizzarrie compiute da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Nel 1992 Bettino Craxi, che era il nome intorno al quale si era trovato un accordo di massima, dovette rinunciare per via delle indagini che lo riguardarono, e a quel punto presentò al presidente Oscar Luigi Scalfaro una rosa di tre nomi: Amato, appunto, e poi Claudio Martelli e Gianni De Michelis”.

 

E fu il capo dello stato a scegliere.

“Esatto. Ora invece Salvini e Di Maio hanno scelto loro il premier, e poi hanno proposto il nome a Sergio Mattarella. Che non ha potuto fare altro che accettarlo”.

 

Avrebbe potuto essere meno accondiscendente coi leader di Lega e M5s?

“Difficile dirlo. A un certo punto, con la minaccia del governo tecnico, ha provato a richiamare i partiti alla responsabilità, e insomma a fare  in fretta”.

 

Ora lo stallo persiste perché Di Maio e Salvini pretendono Paolo Savona, e nessun altro, come ministro dell'Economia.

“A quanto pare, sì. E di nuovo: occorrerebbe ricordare ai due leader che la Costituzione attribuisce al capo dello stato il potere di nominare i ministri, per cui non lo si può forzare su un nome che non gradisce fino in fondo”.

 

Lei in quel governo, nel 1992, fu ministro dell'Interno. Che effetto le fa, pensare che ora al Viminale andrà Salvini?

“Prima di giudicarlo, voglio vederlo agire. Ma certo sentirgli dire che vuole 'mani libere', non è un buon inizio. E' evidentemente una stortura, ma del resto non è che una delle moltissime di questi mesi”.