Andrea Marcucci, Maurizio Martina, Graziano Delrio, Matteo Orfini (foto LaPresse)

La Quinta Repubblica è il vero piano B in caso di flop di Salvini e Di Maio

Claudio Cerasa

I gemelli diversi del populismo italiano hanno tutte le carte in regola per far nascere un governo. Ma se la logica dovesse essere superata dai capricci, il Pd dovrebbe tornare in campo con una mossa importante: scommettere con urgenza sul modello francese

Parlare di un qualsiasi governo diverso da quello naturale rischia di essere uno sterile e inutile esercizio di stile se si immagina che alla fine le cose andranno al loro posto e che in qualche modo il centrodestra e il Movimento 5 stelle troveranno un modo per fare quello che oggi entrambi negano di poter fare: un governo composto da tutti i vincitori del 4 marzo. La situazione la conoscete. Il Movimento 5 stelle dice di voler fare un accordo con il Pd o con la Lega, ma il Pd un accordo con il Movimento 5 stelle non lo vuole e non lo può fare. La Lega un accordo con il Movimento 5 stelle lo vuole fare, ma non ha alcuna convenienza a farlo facendo pesare solo il 18 per cento del partito e non il 37 per cento della coalizione. La logica dice che la volontà di far contare i voti prevarrà sulla volontà di far prevalere i veti e che alla fine il Movimento 5 stelle capirà che se vuole governare l’Italia dovrà fare i conti con gli elettori che hanno votato la Lega come parte di una coalizione di governo. Ma se la logica dovesse essere invece superata dagli infantili capricci dei leader populisti – e se un governo naturale dovesse cioè diventare innaturale – il presidente della Repubblica sarebbe ovviamente costretto a studiare un piano B e in quel caso e solo in quel caso il Pd potrebbe (dovrebbe) tornare in partita e far cambiare traiettoria alla sua posizione. 

 

Già, ma per fare cosa? Tra i tanti piani B di cui si parla nei vari dialoghi tra i leader di partito l’unico che potrebbe avere un senso e che potrebbe avere il Pd come parziale protagonista è uno e soltanto uno: provare a utilizzare questa pazza legislatura non per tirare a campare, o per cambiare genericamente la legge elettorale, fateci il piacere, ma per provare a far fare alla nostra repubblica l’unico salto in grado di trasformare una legislatura scellerata in una mediamente illuminata. E l’unico salto possibile oggi – l’unico piano B fattibile e forse sensato – sarebbe quello di far nascere la XVIII legislatura con l’unico scopo di traghettare velocemente il paese non dalla Seconda alla Terza e tetra Repubblica populista ma dalla Seconda alla Quinta Repubblica.

 

L’unica possibilità concreta – e coerente con la sua storia – che avrebbe il Partito democratico per rientrare in campo nel caso in cui i capricci dei populisti dovessero prevalere sulla logica della politica sarebbe quella di offrire alle altre forze presenti in Parlamento un programma composto solo di un punto. Solo di una proposta. Solo di una legge. Pochi punti e chiari. L’articolo 83 della Costituzione deve essere sostituito dal seguente articolo: “Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto a maggioranza assoluta dei votanti. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza, il quattordicesimo giorno successivo si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti”.

 

L’articolo 88 della Costituzione deve essere sostituito dal seguente: “Il Presidente della Repubblica può, sentito il Primo Ministro, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. La facoltà di cui al primo comma non può essere esercitata durante i dodici mesi successivi alle elezioni delle Camere”. Articolo 89: “Gli atti del Presidente della Repubblica adottati su proposta del Primo Ministro o dei Ministri sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità. Non sono sottoposti a controfirma la nomina e la revoca del Primo Ministro, l’indizione delle elezioni delle Camere e lo scioglimento delle stesse, l’indizione dei referendum nei casi previsti dalla Costituzione, il rinvio e la promulgazione delle leggi, l’invio dei messaggi alle Camere, le nomine che sono attribuite al Presidente della Repubblica dalla Costituzione e quelle per le quali la legge non prevede la proposta del Governo”. Articolo 92: “Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina e revoca il Primo Ministro e, su proposta di questo, nomina e revoca i Ministri”. Detto in altre parole: l’unico piano B che potrebbe avere un senso nel caso (remoto) in cui il piano A dovesse fallire non può che essere un piano che prova a far fare al nostro paese un salto simile a quello che il 4 dicembre del 2016 venne bocciato dagli elettori. Sistema francese. Doppio turno. Elezione diretta del capo dello stato. In un sistema tripolare abbiamo capito (lo hanno capito anche i grillini) che le grandi coalizioni sono inevitabili.

 

Ma di fronte al tripolarismo le scelte sono due: lo si può assecondare o lo si può combattere. Si può decidere di mettere le grandi coalizioni nelle mani dei partiti (proporzionale) o nelle mani degli elettori (sistema francese). Un governo guidato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega aiuterebbe a semplificare il sistema e a dimostrare che anche all’interno di un quadro multipolare nell’Europa di oggi le divisioni che contano sono queste: sovranismo o non sovranismo, protezionismo o non protezionismo, globalizzazione o non globalizzazione, più Europa o meno Europa. Un governo sovranista avrebbe la forza di separare con nettezza i due campi da gioco. Ma nel caso in cui i vincenti del 4 marzo non dovessero vincere la loro partita al Quirinale, toccherebbe probabilmente ai perdenti mettersi insieme e provare a dimostrare che l’unico modo per non spostare l’icona della legislatura nella cartella della spazzatura è quella di ripartire da dove l’Italia si è fermata: dal 4 dicembre del 2016.

 

Al Senato un disegno di legge per passare dalla Seconda alla Quinta Repubblica esiste già. E’ stato firmato dal neo senatore Tommaso Cerno (Pd) ed è stato presentato per queste ragioni: “Perché il presidenzialismo sembra essere sempre di più quel sistema che lungi dal liquidare la democrazia rappresentativa e la forma partito è piuttosto in grado di aggiornarla e di adeguarla alle nuove dinamiche della vita democratica che richiedono un livello più alto, diretto e consapevole di partecipazione da parte dei cittadini. Il presidenzialismo sembra essere dunque quel passaggio che manca e che è necessario per riallineare nella democrazia italiana forma del governo e sostanza del governo, quel passaggio che sembra essere in grado di portare finalmente e definitivamente l’Italia in quella democrazia competitiva, governante e dei cittadini a cui milioni di persone hanno lavorato negli ultimi venti anni e più”. Se il piano A dovesse fallire, il piano B – anche per Renzi – dovrebbe ripartire da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.