L'ambasciata Usa in via Veneto a Roma (foto LaPresse)

Cosa si aspettano i diplomatici americani dalle elezioni italiane del 4 marzo

Annalisa Chirico

All'ambasciata Usa in via Veneto a Roma la campagna elettorale evoca una parola chiave, incertezza. Ma a Washington sanno bene cosa non augurarsi

In via Veneto la campagna elettorale evoca una parola chiave, incertezza. La strada non riporta a una burocrazia ministeriale, e neppure ai fasti sepolti della Dolce vita, ma all’ambasciata degli Stati Uniti in Italia. Da Washington la richiesta di dettagliati report sulla contesa politica è incalzante. “Siamo chiamati a raccontare quel che accade come sempre ma mai come in questo periodo, e mai come per quest’appuntamento elettorale, la domanda d’informazioni è continua”, commentano fonti diplomatiche a stelle e strisce che s’intrattengono a colloquio con il Foglio.

 

Il 4 marzo desta curiosità, si cerca di decifrare quel che accadrà nel paese alleato strategico nel Mediterraneo per prevedere i riverberi sullo scacchiere europeo. I top official di via Veneto non celano preoccupazione per l’avanzata di movimenti populisti a scopo destabilizzante, i soggetti italiani under investigation sono M5S e Lega. “I leader di questi partiti in privato parlano diversamente che in pubblico. Il viaggio di Luigi di Maio a Washington ha tentato di tranquillizzare stakeholder e investitori stranieri. Tuttavia, un governo a guida populista, che rimetta in discussione la partecipazione all’Unione europea o alla Nato, non rappresenta una best option. I report periodici del Pd offrono spunti interessanti”. Quali?, domanda la cronista. “Quelli periodici sull’industria delle fake news e sulla digital propaganda, li leggiamo. Alcune tracce rimandano alla Russia, secondo uno schema d’interferenza che si è già manifestato in altri paesi europei”.

 

La domanda che le fonti americane rimbalzano nei conversari riservati di questi giorni è la seguente: “Per quale oscura ragione i partiti hanno approvato una legge elettorale che non incorona un vincitore? What is the rationale?”, e vagliela a spiegare l’alchimia politica nostrana. “Matteo Renzi is a still open chapter”, sebbene un suo ritorno a Palazzo Chigi all’indomani del 4 marzo sia considerato improbabile. Per Renzi potrebbe proiettarsi un “percorso à la Romano Prodi o à la Verhofstadt”, vale a dire un’esperienza di livello europeo, magari il dopo Juncker alla guida della Commissione europea, con il sostegno del presidente francese Macron. “E’ un leader giovane, ha governato per un tempo considerevole e si è fatto apprezzare all’estero. Un ruolo di prestigio a Bruxelles gli conferirebbe autorevolezza per preparare poi un ritorno a Roma”. Un discorso che, indipendentemente dalla pronuncia della Corte di Strasburgo sull’applicazione della legge Severino, non si attaglia al Cavaliere, anzitutto per ragioni anagrafiche. Renzi può confermarsi uno “stabilizing factor” in un paese che ha bisogno di stabilità, ancor di più all’indomani di un appuntamento elettorale che preluderà alla formazione di un governo, forse, e in ogni caso dalla durata assai incerta.