Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni (foto LaPresse)

Il Cav. e il capolavoro del non programma

Salvatore Merlo

Azzerare, ma non abolire. Riparare le storture: e cioè? Poi un gioiello: cancellare la povertà. Il patto tra Berlusconi, Salvini e Meloni è un manifesto di diplomazia grammaticale e ci spiega perché ai tre, per vincere, serve il modello Prezzolini

Il vero furbone sta coi santi in chiesa e coi ghiottoni in taverna, fa la voce del lupo fra i lupi, zoppica con gli zoppi e urla con gli indemoniati; magari cercando di apparire sempre più santo, più ghiottone, più lupo e più indemoniato dei compagni. E basta scorrere, soffermandosi qua e là, i dieci punti che compongono il programma del centrodestra, questo piccolo documento che da ieri porta in calce le firme autografe di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è sufficiente gettare uno sguardo ai punti che qualificano questa alleanza nutrita, fortificata e avvolta da un’impalpabile nuvola di diffidenza reciproca, per aver confermato quello che già sappiamo ormai da moltissimi anni: il più furbone, e acrobata, è sempre lui, il Cavaliere.

 

LEGGI I 10 PUNTI DEL PROGRAMMA DEL CENTRODESTRA

 

Prendiamo allora il punto 4 di questo programma sottoscritto da Berlusconi (titolo: “più aiuto a chi ha bisogno”). Prendiamo in particolare il comma 6 di questo punto 4. Ecco quello che c’è scritto: “Azzeramento della legge Fornero e nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile”. Poiché tutti sanno che Berlusconi non vuole cancellare la legge Fornero tout court, mentre Salvini sì, ecco che spunta la parola “azzeramento”, termine che nella sua intimidatoria vaghezza è seguito dalla promessa di un’altra riforma “economicamente sostenibile” (e come sa chiunque non abbia messo il cervello all’ammasso, non c’è sostenibilità senza innalzamento dell’età pensionabile). Certe parole, si sa, sono come i magazzini della Rinascente: ci puoi mettere dentro qualsiasi cosa, dalle limette per le unghie ai divani. E si capisce insomma che qui c’è stato uno sforzo mica da poco, alla ricerca di termini disposti per ogni servizio, pronti a ogni viaggio, saltellanti e fugaci, capaci di avere un tono salviniano (cioè muscolo flettente: “azzeramento”, ciumbia!) e un contenuto berlusconiano (cioè concavo e convesso).

 

In tutto il mondo la paura più diffusa è che i politici non mantengano le promesse elettorali. In Italia, al contrario, la paura più diffusa è che i partiti realizzino i loro programmi bislacchi. E dev’essere per questo che a Bruxelles, nelle cancellerie internazionali, e persino nella redazione dell’Economist (lo ha spiegato Bill Emmott, quello del famoso ”why Berlusconi is unfit to lead Italy”), il Cavaliere è considerato il più affidabile, una specie di bene rifugio, il più “fit”: nessuno infatti crede che Berlusconi farà quello che promette, e tutti hanno capito che un minuto dopo la chiusura delle urne romperà con Salvini. Ovviamente, a sostegno di questa vasta e diffusa certezza, ci viene a sostegno, ancora una volta, il programma in dieci punti del centrodestra.

 

Il documento, così ricco di ricette – esempio: “Abolizione di anomalie e storture della legge impropriamente detta ‘Buona scuola’ (e chi mai non vorrebbe abolire “anomalie e storture”, di qualsiasi cosa?) – non parla di coperture, cifre, insomma non ha mezzo numero.

 

Quando il centrodestra pubblica numeri, quando parla cioè in termini aritmetici di deficit, tasse e spesa, non lo fa a una voce sola. Esiste infatti un documento di Forza Italia, firmato da Renato Brunetta, con i numeri. E c’è poi un documento della Lega, redatto da Claudio Borghi, che contiene dei numeri. In estrema sintesi Brunetta dice: rispetto del fiscal compact e abbattimento del debito attraverso le privatizzazioni. E tutto questo con un avanzo primario del 4 per cento, il che significa austerità. Una cosa che, per farla semplice, piacerebbe al tedesco Wolfgang Schäublee. Mentre il documento di Borghi dice l’esatto contrario, e sembra scritto dal venezuelano Nicolas Maduro: il debito non è un problema, va valutata l’uscita dall’euro, bisogna fare più deficit per far crescere l’economia del paese. Tra i due documenti, quello incompatibile con i dieci punti del programma comune del centrodestra – qualche perla: “aumento delle pensioni minime”, “cancellazione della povertà”, “estensione delle prestazioni sanitarie”, “piano Marshal per l’Africa” – è il documento di Forza Italia, che a differenza dell’altro testo, quello comune del centrodestra, non sembra puntare al fallimento dell’Italia nel giro di pochi mesi dalla sua messa in pratica.

 

E allora la domanda sorge spontanea: com’è che Berlusconi l’ha firmato? Nessuno più del Cavaliere sa che le parole, come diceva Prezzolini, sono fra i nostri nemici; ci tradiscono come ambasciatori, e ci ingannano come interpreti. E per lui, Salvini è come quei compagni di scompartimento che, dopo ore di faccia a faccia, riacquistano tutta la loro estraneità non appena il treno rallenta per entrare in stazione. Non importano le chiacchiere che si sono fatte prima.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.