Una scena del film

Il prossimo film (comico) sul Duce è il più efficace atto di accusa contro lo stile parafascista del M5s

Claudio Cerasa

“Sono Tornato” racconta sotto forma di commedia la storia di una resurrezione di Benito Mussolini nell’Italia del 2018. Cosa dice del grillismo

Il primo febbraio uscirà in Italia un film molto interessante, girato dal regista Luca Miniero, interpretato da Massimo Popolizio, prodotto dall’Indiana Production e da Vision Distribution, che prima ancora di finire in sala, visto il suo contenuto, l’oggetto della sceneggiatura, il protagonista della pellicola, ha cominciato a far discutere, ma purtroppo per le ragioni sbagliate. Il film si chiama “Sono Tornato”, racconta sotto forma di commedia la storia di una resurrezione di Benito Mussolini nell’Italia del 2018 e tutti gli spettatori che hanno avuto la possibilità di vedere in anteprima il film hanno concordato sul fatto che una trama di questo tipo, in piena campagna elettorale, non può che creare dibattito perché mai come in questo momento, si è detto, esistono nel nostro paese tracce visibili di fascismo che sarebbe un errore sottovalutare.

 

 

Sulla premessa tutti d’accordo, sullo svolgimento forse un po’ meno: quali sarebbero nel nostro paese le tracce visibili di uno nuovo stile fascista che sarebbe un errore sottovalutare? Buona parte dei giornali e buona parte dei talk-show tendono ad accreditare l’idea che lo stile fascista o parafascista che oggi bisogna combattere con tutte le forze è quello veicolato dai movimenti che portano in piazza il saluto romano, che giocano con i messaggi xenofobi e che alimentano in modo irresponsabile un sentimento d’odio nei confronti dei migranti (sentimento che come sappiamo fa però leva sulla paura percepita, alimentata spesso a tavolino dagli stessi media che poi si ritrovano a condannare chi cavalca l’onda della paura). Se quello di Miniero fosse solo un tentativo pigro di colpire la coscienza dei Curzio Maltese con uno dei giochini perbenisti alla “Fuocoammare”, non ci sarebbe ragione di perdere tempo a parlare del film.

 

La ragione per cui invece oggi ne parliamo (il Duce redivivo viene scambiato per un attore e diventa l’eroe dei talk-show) rischia di essere uno dei più efficaci atti di accusa contro due mostri che nell’indifferenza generale rischiano di dominare la nostra campagna elettorale: l’orrore dello stile para fascista incarnato dal messaggio grillino e la complicità dei media che scelgono supinamente di essere al suo seguito.

 

Il film di Miniero descrive con ironia le reazioni degli italiani che si ritrovano improvvisamente di fronte al ritorno del Duce ma con meno ironia permette di ragionare su una domanda che oggi è lecito porsi: per la stabilità democratica di un paese è più pericoloso chi vuol far goffamente rivivere il fascismo con qualche gesto folle o chi il fascismo lo vuole far rivivere con alcuni gesti concreti anche se senza intenzionalità? Su questo tema, le parole che possono far accendere una lampadina sono quelle di una donna anziana che osserva il Duce interpretato da Popolizio dicendo che no, “quegli occhi non si dimenticano, perché anche allora la gente rideva, anche allora credevano che fosse solo un comico”.

 

Nell’Italia di oggi ci si indigna giustamente per qualche residuale saluto fascista (davvero pensate che CasaPound vincerà le elezioni?) o per una gaffe di Attilio Fontana (davvero pensate che la Lega voglia eliminare la razza non bianca?) ma si fa finta di nulla quando in prima serata i talk sorridono di fronte a un partito guidato da un comico che gioca con il totalitarismo digitale, sopprime il dissenso, disprezza la democrazia parlamentare, sogna di far sparire gli altri partiti, promette di sciogliere i sindacati, agita la forca e usa il manganello virtuale contro gli avversari.

 

Il Movimento di Grillo, come ha scritto Alessandro Dal Lago in un libro che andrebbe imparato a memoria (“Populismo digitale”), non ha ovviamente nulla a che fare con il fascismo storico – anche se, dice Dal Lago, “la dipendenza dalla rete di un movimento neo peronista gestito in modo autoritario e la spinta democratica dal basso sintetizzata in una democrazia diretta che rischia di essere manipolata da politici spregiudicati e visionari” è l’esempio più cristallino di parafascismo che esiste in Italia. Ma se vogliamo ascoltare senza superficialità la lezione di Marx, secondo la quale nella storia le tragedie ritornano sempre in forma di farsa, il film di Miniero ci ricorda che quando parliamo di parafascismo ci sono due possibili approcci. Si può scegliere di aprire gli occhi solo di fronte a chi rappresenta il folclore o si può scegliere di aprire gli occhi di fronte a chi punta a guidare il paese. “Io – ricorda il Duce interpretato da Popolizio – non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Vale per l’ismo di ieri, forse vale anche per quello di oggi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.