La sinistra dalla questione morale a quella nominale
Un anno di scissioni, unioni mancate, improbabili alleanze, ma ora non va bene neanche Liberi e uguali, troppo maschile
Roma. “Nasce Dp”, al secolo Democratici e Progressisti, titolavano i giornali del 23 febbraio 2017, quando dalla scissione col Pd sorse il partito di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza. Solo che Dp ricordava troppo Democrazia Proletaria, meglio Mdp, che però rievocava, chissà perché!, il Monte dei Paschi. Non solo: a Mdp, Movimento Democratici e Progressisti fu subito aggiunto l’“Articolo 1”, per non dimenticare le radici costituzionali e non essere da meno dei Montanari e delle Falcone, sempre pronti a dare lezioni di costituzionalmente corretto. Un risultato leggermente cacofonico: Mdp-Articolo 1, per la gioia dei sondaggisti. Nell’ultimo anno a sinistra la questione nominale ha preso il sopravvento sul resto (un tempo era tutta campagna e questione morale).
Chi siamo, dove andiamo, come ci chiamiamo: c’è stato un momento in cui l’unità della sinistra pareva Possibile, non solo civatianamente parlando, ed è stato a luglio, il primo luglio, quando Giuliano Pisapia, di Campo Progressista, e i demoprogressisti si sono trovati in piazza per dire “Insieme”, anche se insieme non sono mai stati. Il titubante Giuliano Pisapia, infatti, non ha mai gradito del tutto la compagnia di giro dalemiana, tutta orientata all’antirenzismo. E infatti, l’ex sindaco di Milano ha a lungo sperato che D’Alema venisse commissariato da Bersani, se non da Speranza. Macché. Insieme, ma ognuno per la sua strada. Pisapia da una parte, Mdp, Possibile e Sinistra Italiana, nata dalla fusione di Sinistra Ecologia Libertà, SeL, Futuro a Sinistra (by Stefano Fassina) e alcuni ex del Movimento 5 Stelle. Dopo quasi un anno di discussioni e “dibbbattiti” (no il dibbbattito no!) e alcuni passaggi non del tutto soddisfacenti (come quando Oliviero Toscani ha presentato “Max” come simbolo per il nuovo partito) nato infine Liberi e Uguali. Dirige il maestro Pietro Grasso. Anche qui, però, non mancano i problemi, perché c’è chi fa notare che o si è liberi o si è uguali. In più, i Liberi e Uguali sono tutti uomini. Speranza, Grasso, Civati, Nicola Fratoianni. E le donne? Laura Boldrini? Civati non si sottrae al problema, preso di petto dal manifesto. “E allora – sottolinea il quotidiano comunista – parliamo del nome della lista: maschile plurale. Già ai tempi di ‘democratici di sinistra’ era indigeribile per la maggior parte delle iscritte”. “Se dovessimo fermarci ad oggi – risponde Civati – non piacerebbe neanche a me. Fortunatamente è un processo che inizia. Ma mi fanno sorridere le colleghe del Pd che dicono che noi siamo tutti maschi e invece loro stanno in una coalizione Renzi-Alfano-Pisapia”. Epperò, garantisce Civati, “dai prossimi giorni ci saranno figure che non serviranno solo a fare la quota ma ad aggiungere uno sguardo che fin qui è mancato. Peraltro l’intervento più bello di domenica è stato quello di Rossella Muroni, non per una questione di genere ma per una questione politica e culturale”. Insomma, “anche per questo è fondamentale che Laura Boldrini sia in questa nostra storia”.
Chiarisce tutto Chiara Geloni con un tweet: “Il plurale di LIBERO e LIBERA è LIBERI. Il plurale di UGUALE e UGUALE (si dice uguale) è UGUALI. #LIBERIeUGUALI non è un nome maschile. E’ un nome plurale”. In alternativa, suggeriamo un nome politicamente corretto: Liber* e Ugual*.
L'editoriale del direttore