Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

“Il M5s fa la vittima perché sa di non avere candidati presentabili”

David Allegranti

Intervista a Dario Parrini, deputato e segretario del Pd toscano: “Contestano il Rosatellum perché sanno di potersela giocare se la partita è Grillo o Di Maio contro Renzi, Berlusconi, Salvini. Se invece devono sostenere 232 competizioni...”

Roma. “A me pare che ci siano le premesse perché il provvedimento vada in porto al Senato senza eccessivi patemi”. Dario Parrini, deputato e segretario del Pd toscano, pensa che l’obiettivo sia a portata di mano. Il Rosatellum bis sarà approvato dal Senato entro fine mese. “È un provvedimento che ha tre pregi importanti - dice al Foglio - in un paese in preda alla nevrastenia. Il primo è che dà all’Italia una legge elettorale con disposizioni omogenee per camera e senato e scritta dal parlamento e non dai giudici costituzionali, e questo mi pare un grandissimo risultato. Il secondo pregio è che ripristina, nel campo della politica italiana, un elemento di trasparenza della lotta politica, il collegio uninominale, e questo è un vantaggio poco notato. Terzo pregio: la legge è stata votata con il consenso di larga parte dell’opposizione”. Partiamo dal primo. “Mi pare evidente che dobbiamo lottare per l’autonomia e per l’autoregolamentazione della politica. La quale, se si fa disciplinare dall’esterno, perde di credibilità. non fare la legge elettorale sarebbe una prova di impotenza del parlamento. Quanto al secondo vantaggio, “io per cultura avrei desiderato 618 collegi uninominali, magari a due turni, o i 475 collegi del Mattarellum. Ma su queste basi non sarebbe stato possibile nessun accordo. Considero comunque i 232 collegi uninominali della legge Rosato-Fiano un elemento importante. Ho insistito molto sul tema e mi piace che Renzi all’Eliseo per i 10 anni del Pd abbia parlato di corpo a corpo tra centrodestra e centrosinistra. Sarà una sfida dagli esiti molto poco facilmente prevedibili”.

 

 

Con i collegi uninominali, ricorda Parrini, “abbiamo votato l’ultima volta nel 2001 e in precedenza nel 1994 e nel 1996. In quelle tre elezioni emerse che il potere d’attrazione del simbolo di partito era ancora molto più forte di quello del candidato, ma in 17 anni - tanti ne saranno quando andremo a votare con la nuova legge - di acqua sotto i ponti ne sarà passata molta. L’importanza dei candidati oggi è molto più forte e il peso dei simboli di partito molto inferiore. Dunque il trascinamento dell’uninominale sulle liste sarà forte e grazie a una classe dirigente preparata, competente, autorevole, radicata e popolare avremo un vantaggio competitivo. La paranoia vittimistica del M5s è legata al fatto che sanno di potersela giocare se la partita è Grillo o Di Maio contro Renzi, Berlusconi, Salvini. Se invece devono sostenere 232 competizioni, come nel caso della legge Rosato-Fiano, hanno molte meno carte da giocare, perché devono trovare 232 candidati potabili da mettere in campo. Oltretutto, ricordiamo che il turno è uno solo e il M5s non può sperare nell’effetto tutti contro uno che scatta nei ballottaggi dei Comuni. L’effetto anti-tutto nei collegi uninominali a un turno non c’è e loro i primi turni li perdono. E’ accaduto anche a Livorno o a Torino, dove poi hanno vinto le elezioni”. Aggiunge Parrini: “Tutte le stime e le proiezioni che vedo circolare sulla stampa, fatte a freddo, cioè inserendo le intenzioni di voto, sono sostanzialmente prive di ogni credibilità. Chiunque sia esperto di sistemi elettorali sa che quando viene adottato un nuovo sistema elettorale, specie uno che introduce una novità importante come l’uninominale, cambia l’offerta politica, cambiano le scelte dei partiti e cambia il modo in cui gli elettori reagiscono. Quindi a tre giorni dall’adozione della legge fare proiezioni è insensato”.

 

C’è poi il terzo pregio, dice il segretario del Pd toscano, da analizzare. “Penso che in una democrazia matura si debba essere orgogliosi se leggi elettorali si approvano con maggioranze che vanno oltre quella di governo. Prendiamo il caso dell’Italicum. Ci furono tre votazioni. Una nel marzo 2014 alla Camera, Forza Italia votò a favore. Un’altra votazione, con modifiche al testo, ci fu nel gennaio 2015, e anche in quel caso Forza Italia votò a favore. Nella terza votazione, avvenuta nel maggio 2015, non ci fu il voto del partito di Berlusconi, ma la fiducia fu messa al testo che era uguale a quello che Forza Italia aveva votato al Senato. Aveva dunque un’ampia legittimazione”. Quindi bisognerebbe ricordare al “M5s che ogni giorno strepita e insulta, che l’occasione di partecipare alla scrittura della legge l’ha avuta e l’8 giugno 2017 l’ha buttata al vento, all’apice di uno scontro fra Roberto Fico e Luigi Di Maio; quindi tra un fondamentalista e un semi-fondamentalista ha vinto il fondamentalista. Di Maio aveva sposato la linea dell’accordo ma è stato messo in minoranza nel suo partito. Aveva ragione Pietro Nenni: alla fine arriva uno più puro di te che ti epura. Oggi loro vogliono dimostrare che il parlamento è incapace di legiferare, ma i partiti responsabili, di destra e di sinistra, devono far vedere che il parlamento non è impotente”.

 

 

Quanto alle larghe intese, smentite da entrambi i leader, a partire da quello di Forza Italia, Berlusconi, che sabato le ha escluse categoricamente, Parrini la vede così: “Io penso che in campagna elettorale dovremo far di tutto per conquistare da soli la maggioranza assoluta dei seggi. Le larghe intese saranno assenti dalla campagna elettorale, anche perché c’è una quota di maggioritario. E persino la Merkel, in un sistema che non è maggioritario, non ha fatto campagna elettorale parlando dell’alleanza con i Verdi e i liberali e nemmeno con l’Spd. A risultati noti vedremo che cosa sarà possibile fare. Sarà molto importante, per la capacità attrattiva delle singole coalizioni, il tasso di omogeneità delle alleanze. Il centrosinistra ha un vantaggio. Con l’auspicata quadriglia centristi cattolici (Alfano-Casini), centristi laici (Della Vedova-Bonino), Pd e sinistra arancione, avremmo un’alleanza con il Pd a far da baricentro e un tasso di omogeneità programmatica elevata. Sono tutti partiti europeisti che che hanno votato sì al referendum. Dall’altra parte invece il centrodestra unito fa poca fatica a governare comuni e regioni, perché le questioni locali non risentono delle grandi differenze di principio, dalla politica internazionale all’economia. Ma a livello nazionale in campagna elettorale le contraddizioni tra un partito che è nel Ppe e un partito che spasima per la Le Pen diventeranno molto forti. Non escludo che dopo le elezioni ci possa essere una scomposizione del centrodestra. Ma qui mi fermo, mi faccio i fatti miei e penso a casa mia”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.