Chiara Appendino (foto LaPresse)

Torino perde spinta, verve, imprese. Colpa di Appendino, ma c'è di più

David Allegranti

Occasioni mancate dalla città e gradimento in picchiata per il sindaco. I 5 stelle al governo non hanno un'idea di futuro. L’allarmante Rapporto Rota

Roma. “Guardi, lei mi dovrebbe chiamare non per chiedermi che cosa succede a Torino ma piuttosto per quello che NON sta succedendo”. Marco Boglione, presidente di BasicNet, azienda proprietaria dei marchi Robe di Kappa e K-Way, ha la battuta pronta e sintetizza così l’immobilismo della sua città, visto con “zero soddisfazione anzi con grande frustrazione”. “Ma che cosa sta succedendo a Torino?”, si chiedeva giusto ieri la Stampa con un appuntito e inusitato editoriale contro la classe dirigente che governa la città. “Perché la sindaca dei ‘5 Stelle’, Chiara Appendino, accolta con indici di gradimento altissimi nei sondaggi di inizio mandato, sta scendendo vertiginosamente nelle classifiche del consenso?”. E perché sulla città, “delle cui sorti si discuteva appassionatamente… sembra calata una cappa di silenzio e indifferenza, rotta soltanto dalle cronache di fatti tragici e dolorosi come quelli della notte di piazza San Carlo o degli incidenti di chi contestava il G7?”.

 

 

Il Foglio si è spesso occupato nell’ultimo anno del “caso Torino”, dove dal giugno 2016 c’è un governo a cinque stelle, con a capo Chiara Appendino, figlia della borghesia torinese, “una che poteva stare alle prime Leopolde”, per dirla con alcuni osservatori renziani. Oggi sono molte le criticità in una “Torino senza un’idea di futuro”, ha scritto la Stampa. Il quadro è desolante su parecchi fronti, dalla cultura all’economia. Eppure, dice Boglione al Foglio, le ragioni dell’inceppamento torinese sono radicate nel tempo. Una tra tutte, la scomparsa, sottolinea, delle imprese. Non mancano i problemi politici, ma vanno contestualizzati, insieme appunto a quelli economici: “Un callo non si toglie da un giorno all’altro. Se cambi tutto, non vedi i risultati in sei mesi ma in cinque anni. Non stiamo parlando di spostare un quadro in casa. Stiamo parlando di riposizionare strategicamente un’economia e certo ci vuole del tempo. Se avessimo fatto vent’anni fa scelte diverse, non solo a Torino ma in tutta Europa, oggi stavamo in un posto diverso. I Cinque Stelle? Sono in carica da un anno… E gli altri che ci sono stati 25 anni?”.

 

 

Insomma, non è tutta responsabilità della sindaca ma, si legge nell’annuale Rapporto Rota che sarà presentato oggi, la classe dirigente e la cittadinanza hanno piena consapevolezza del declino della città? Non sembra, scrivono i ricercatori nello studio, le cui conclusioni sono state anticipate ieri da Lo Spiffero, quotidiano online torinese. La mancanza di autocoscienza è dovuta all’“effetto anestetizzante di una certa retorica autocelebrativa basata sulla parola d’ordine della città migliorata e su alcune ricorrenti esemplificazioni: le piazze-salotto del centro, le code di turisti ai musei, la movida, i trionfi della Juventus, il prestigioso Politecnico e (ultimamente un po’ meno citato) il successo olimpico del 2006”.

 

Per gli analisti “il rischio è che diversi preoccupanti segnali di criticità sociali ed economiche moltiplicatisi negli anni vengano derubricati a effetti temporanei della crisi, a problemi comuni a tutte le città, in tal modo esorcizzando le debolezze strutturali che gravano, spesso più che altrove, sul contesto torinese”. Insomma, la bolla torinese sta per scoppiare o forse è già scoppiata. Il presidente dei giovani industriali di Torino Alberto Barberis dice al Foglio che in città “c’è fermento ma anche delusione per alcune opportunità che non sono state colte, penso al G7 dell’industria, non si è avuto il coraggio di osare in un momento in cui era necessario farlo”. E’ la “concretezza dei piccoli passi a essere mancata in questi primi mesi di amministrazione, ed è mancata una visione strategica. I temi della decrescita ci spaventano un po’ e così si perdono occasioni per le aziende che sono però occasioni di sviluppo per tutta la città. E’ in atto una rivoluzione industriale che riguarda la manifattura. Dai numeri emerge sostanzialmente che il 99 per cento di ciò che si esporta da Torino e dal Piemonte è legato al manifatturiero. In questi casi a fare la differenza è la velocità con cui cogliere i cambiamenti”. Torino, insomma, non può più andare con il pilota automatico.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.