Roberto Speranza (foto LaPresse)

Mdp inizia la campagna elettorale. E si sfila dalla maggioranza

Valerio Valentini

I bersaniani annunciano che non voteranno la relazione al Def. Il viceministro Bubbico si dimette. Ma Stefàno si sfila: “Non sono d'accordo con me altri sette senatori”. E a sinistra del Pd prosegue la frantumazione

La rottura, con tempismo perfetto, arriva proprio dove era più scontato aspettarsela: nel corso della discussione sul Def. Alla fine, dopo varie reiterate minacce e qualche prova generale – al Senato, il 26 settembre, Mdp aveva votato insieme alle opposizioni in commissione Difesa mandando sotto la maggioranza – le truppe bersanian-dalemiane dei fuoriusciti del Pd annunciano lo strappo. Lo fa, in particolare, Roberto Speranza. Il quale, al termine di una riunione dei gruppi parlamentari di Mdp, sancisce: “I gruppi di Camera e Senato all'unanimità hanno deciso di non votare la relazione al Def, mentre per senso di responsabilità hanno deciso di votare a favore dei saldi dei conti pubblici”. Governo salvo, dunque, dal momento che solo sulla seconda questione è necessaria la maggioranza assoluta, di 161, a Palazzo Madama. Ma la svolta politica c'è, ed è netta: Mdp esce definitivamente dalla maggioranza. E non a caso Filippo Bubbico, unico esponente dei bersaniani nell'esecutivo, si è immediatamente dimesso da viceministro dell'Interno. Questione di coerenza, dice lui.

 

Questione di opportunismo politico, commentano nel Pd a proposito della exit strategy di Mdp. Bersani e compagni hanno bisogno di prendere le distanze quanto più possibile dal governo, per poi imbarcarsi in una campagna elettorale che cavalchi i classici temi cari alla sinistra e addossando al governo le responsabilità di una manovra troppo timida. Talmente scontata, come manovra, che Gentiloni si era già premurato di prendere le contromisure, blindando la maggioranza grazie al sostegno degli altri partiti. Gli stessi, peraltro, con cui in questi giorni il Pd sta cercando – o fingendo di cercare, ma fa lo stesso – l'accordo sulla legge elettorale. Per tutto il giorno, martedì, non sono passati inosservati gli incontri e i conciliaboli in Transatlantico tra i dem che contano e i rappresentanti di Forza Italia, Alleanza popolare e Lega. Anna Finocchiaro, ministra per i Rapporti col Parlamento, già a metà giornata dispensava serenità: “Mi pare che ci sia un buon clima”. Da Palazzo Chigi, intanto, si faceva sapere che il premier seguiva la situazione con attenzione ma senza ansie. Gentiloni neppure ha ritenuto opportuno presenziare agli incontri, concentrato com'era sul discorso da tenere domani alla basilica di Assisi per la festa di San Francesco.

 

Risolutivo, per il presidente del Consiglio, era stato a suo modo il vertice di lunedì con Giuliano Pisapia e i capigruppo di Mdp a Camera e Senato, Francesco Laforgia e Maria Cecilia Guerra. Aveva ottenuto le rassicurazioni di cui aveva bisogno per il voto sui saldi, e aveva promesso di accogliere quanto più possibile le istanze dei suoi interlocutori su lavoro, sanità, occupazione giovanile. Proprio su queste ultime, ufficialmente, si sarebbe consumato lo scontro, coi bersaniani che si dicono non soddisfatti dalle dichiarazioni del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan davanti alle commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato. “La relazione di Padoan oggi è stata insufficiente”, ha dichiarato infatti Speranza, per poi sentenziare: “Io non mi sento più dentro questa maggioranza”. A quel punto, è partito lo scambio di accuse. Con Alfredo D'Attorre che attribuiva al Pd la responsabilità di “spaccare la maggioranza”, e il renziano Andrea Marcucci che replicava: “Per Mdp ogni occasione è buona per dar contro a Renzi ed al Pd. Anche a costo di provocare l'aumento dell'Iva votando contro allo sblocco di 8 miliardi per imprese e famiglie”.

 

Fuoco incrociato che dimostra come la partita sia squisitamente politica. E forse, a perderla, almeno nelle prime ore sembra essere Mdp. Dal Pd si sono affrettati infatti a far sapere che i senatori “pisapiani” (nuova categoria antropologica nella galassia di “-ani” della sinistra parlamentare) sono intenzionati a votare la relazione al Def. Lo conferma, apparentemente, Dario Stefàno: “Sono in disaccordo con le scelte di Mdp. Io sono orientato a votare a favore della nota e con me ci sono altri sette o otto senatori che la pensano allo stesso modo”. Ma Marco Furfaro, braccio destro di Pisapia, quando in serata gli viene riportata la notizia, fa notare che Stefàno non parla affatto a nome dell'ex sindaco di Milano. “Chi sono questi otto senatori che si ergono a portavoce di Giuliano? Non c'entrano niente con Campo progressista. Ricordo che già nei mesi scorsi, quando votò a favore di voucher, Stefàno si pose in contrasto con la linea del nostro movimento, che prese le distanze dalla sua scelta”. La giornata parlamentare finisce, le convulsioni nella maggioranza e nel mondo della sinistra recalcitrante, invece, no.