Niccolò

I signori delle liste

David Allegranti

Tavoli, caminetti, nottate in bianco. Chi decide le candidature al Parlamento per Pd, Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia

Roma. La composizione delle liste elettorali è un gioco di prestigio fatto di incastri, speranze distrutte nell’arco di una notte, quote correntizie, fregature memorabili e anticamere di fronte alle stanze di capipartito e capibastone. Se parli con Forza Italia, ti dicono che l'unico che decide è Berlusconi. Se parli con Pd, ti spiegano che a fare tutto è Renzi. Naturalmente, i leader hanno l'ultima parola, ma il lavoro di preparazione lo fanno altri.

 

Nel 2013, quando Denis Verdini era ancora lontano dal lasciare Berlusconi, era lui a redigere l'istruttoria per conto del Cav, facendo il lavoro sporco. D'altronde la conoscenza di Verdini della macchina organizzativa del Pdl (e di Forza Italia) era approfondita, sicché toccava a lui far tornare i conti. Non senza feroci arrabbiature, beninteso. In Toscana si ricordano di quando Verdini e Marcello Pera litigarono di brutto al telefono perché Lucca non aveva nessun rappresentante candidato in lista. Dalla città toscana arrivarono pure i pullman di persone per parlare con i vertici di Forza Italia, ma Verdini non ricevette nessuno. L’unico a farlo fu Sandro Bondi, anche lui coordinatore nazionale dell'allora Pdl. Verdini e Pera, dopo quell'episodio, non si sono parlati per anni, salvo riappacificarsi in occasione del referendum costituzionale dell’anno scorso. Ma stavolta come fa Forza Italia senza Verdini? A fare le liste dovrebbero essere Niccolò Ghedini, plenipotenziario del Cav, insieme a Sestino Giacomoni, coordinatore dei coordinatori regionali ma soprattutto stretto collaboratore di Berlusconi, parecchio restio ad apparire in pubblico e a rilasciare interviste. Insieme a loro, nel difficile taglia e cuci diurno e notturno, anche i capigruppo alla Camera Renato Brunetta e al Senato Paolo Romani. “I coordinatori regionali invece hanno sempre contato poco – dice al Foglio un ex dirigente berlusconiano – ma stavolta conteranno ancora meno”. 

 

Il Pd invece non ha ancora deciso se ci sarà un gruppo di lavoro ufficiale di cui faranno parte le varie componenti (e i relativi referenti, come direbbe Livio Ricciardelli), probabilmente presieduto da Lorenzo Guerini, oppure se le trattative saranno informali. Che sia un “tavolo” o un “caminetto”, i capicorrente faranno sedere qualcuno di fiducia per lavorare alla trattativa. Per il segretario Renzi il punto di riferimento è Luca Lotti, che supervisiona tutto; per Matteo Orfini il senatore marchigiano Francesco Verducci; per Maurizio Martina il vicecapogruppo Matteo Mauri; per Dario Franceschini il capogruppo Ettore Rosato; per Michele Emiliano lo stesso governatore o Domenico De Santis, suo uomo macchina e consigliere politico; per Andrea Orlando lo stesso ministro o Andrea Martella. “Ma non se ne parlerà prima di novembre”, dicono dal Nazareno. Il percorso, in ogni caso, sarà articolato, perché la Direzione nazionale voterà le liste dopo l’approvazione da parte delle Direzioni regionali. L’ultima volta, nel 2013, Roma le approvò a gennaio, perché c’erano state le primarie a dicembre. Le prossime settimane comunque serviranno a Renzi per scegliere le personalità da inserire in lista esterne al Parlamento e alla vita politica (da settimane si parla, per esempio, della candidatura del virologo Roberto Burioni).

 

Nella Lega, invece, il lavoro di costruzione delle liste e limatura tocca a Giancarlo Giorgetti, numero due di Matteo Salvini, e Roberto Calderoli, che come da tradizione si ritroveranno la sera prima della scadenza ufficiale per chiudere gli elenchi degli aspiranti parlamentari. Dovranno affrontare una grana non da poco: il caso Umberto Bossi, che è condannato per appropriazione indebita. Il segretario Salvini non ha usato parole tenere nei suoi confronti, dicendo sì di essere dispiaciuto, ma ormai Bossi fa parte di un’altra epoca, ha aggiunto. Nella Lega da tempo è in corso un dibattito sulla sua ricandidatura. A febbraio, il Corriere ha scritto che Bossi potrebbe essere candidato con Forza Italia. Ma non è escluso che il Senatùr si possa candidare con Grande Nord, la recente formazione creata dall’ex capogruppo leghista alla Camera Marco Reguzzoni e dall’imprenditore Roberto Bernardelli. A comporre le liste di Fratelli d’Italia, secondo Statuto, sarà la Direzione nazionale, ma probabilmente la stessa Direzione voterà una delega diretta alla segretaria Giorgia Meloni.

 

Nel M5s, dove spadroneggia il Casalgrillo, si potrebbe aprire un problema notevole sulle liste a partire dalla celebre regola del limite dei due mandati. In un post del marzo scorso, il Sacro Blog, di fronte alla richiesta di alcuni dirigenti del M5s come Max Bugani di rivedere la regola, così stringente, aveva risposto picche. “Una delle regole fondanti è quella dei due mandati elettivi a qualunque livello. Consigliere comunale, sindaco, consigliere regionale, parlamentare nazionale ed europeo. Questa regola non si cambia né esisteranno mai deroghe ad essa. ‘Ogni volta che deroghi ad una regola praticamente la cancelli’ diceva Gianroberto. Non abbiamo intenzione di cancellare nessuna delle regole fondanti del MoVimento 5 Stelle. I nostri portavoce continueranno a fare un massimo di due mandati elettivi e poi torneranno a fare il lavoro che facevano prima. Vogliamo cittadini 5 Stelle che si mettano al servizio della comunità, non professionisti della politica”. Nei giorni scorsi però Alessandro Di Battista, alla festa del Fatto alla Versiliana, ha buttato lì una frase che sta facendo discutere. “Potremmo trovare una soluzione alternativa alla regola dei due mandati”. Il M5s è pronto a rivedere il paletto che consentirebbe, per esempio, a Virginia Raggi di candidarsi altrove una volta finito il mandato da sindaco? Il problema è di natura interpretativa. Che cosa si intende per mandato? Deve essere completo, quindi cinque anni, o vale anche se dura pochi mesi? “Secondo me non succederà – dice Di Battista – qualora dovesse succedere faremo una valutazione e troveremo una soluzione alternativa. Per me il massimo che devi stare sono dieci anni all’interno delle istituzioni, due mandati completi”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.