Carlo Calenda. LaPresse/Fabio Cimaglia

Un'alleanza culturale per battere Grillo

Redazione

“Il governo Gentiloni è il luogo dove trovare convergenze con il centrodestra. Ma Renzi batta un colpo, faccia il riformista. Altrimenti vince la banalizzazione populista”. Parla Calenda, che dice sì al memorandum proposto dal Foglio

Roma. Ai renziani, che gli attribuiscono trame e ambizioni, a loro che pronunciano il suo nome quasi mordendolo e dunque lo descrivono come un antagonista, quasi un nemico letterario (o fumettistico) di Matteo Renzi, lui risponde dicendo che “non ho nessuna agenda politica e nessuna ambizione in proprio. E non ce l’ho perché conosco i miei limiti. Non fa per me. Penso inoltre che la stagione dei governi tecnici sia finita, e aggiungo che non sono un pericoloso nemico, visto che condivido il novanta per cento di quello che ha fatto il governo Renzi”. Insomma, dice Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo nel governo di Paolo Gentiloni, “esprimere delle opinioni, e non essere sempre d’accordo su tutto, non è un indizio di tradimento né la violazione di un principio di lealtà. Al contrario. Quella del governo Renzi era un’agenda potentemente riformista. Molte cose torneranno con urgenza nel dibattito pubblico, perché sono ‘i temi’ da affrontare in questo paese, a cominciare dai contenuti della riforma costituzionale bocciata dal referendum. Detto ciò, continuerò però a dire in modo schietto come la penso. Con buona pace di chi ritiene che tale facoltà debba essere condizionata alla sottoscrizione di una tessera di partito. E anche se gli attacchi fondati sulla delegittimazione personale, in questi mesi mi sono dispiaciuti”, aggiunge. “Sviliscono chi li fa, e sviliscono i problemi e la discussione sulle questioni da aggredire. Che sono tante”. Talmente tante, dice il ministro, che “occorrerebbe cercare una convergenza ampia tra le forze politiche e sociali responsabili, proprio come proposto sabato dal Foglio. E già prima delle elezioni del 2018”, dice Calenda, “sfidando il centrodestra a convergere su un piano di riforme ambizioso e inderogabile”.

 

E allora Calenda non avrà un’agenda politica, va bene. Ma ha delle idee, e anche delle critiche – “sebbene leali”, dice – nei confronti del Pd e del suo quasi certamente prossimo segretario, cioè Renzi. “L’Italia è molto esposta e occorre dirlo con chiarezza”, dice. “Quello che ci serve è un riformismo forte fondato sul realismo piuttosto che sulle suggestioni idealistiche alla ‘terza via’ o sugli slogan degli anni novanta. Con l’ottimismo non ci fai niente. Un quadro internazionale più duro e fenomeni epocali come l’innovazione tecnologica e la globalizzazione richiedono risposte lunghe, e anche complesse, fuori dal ‘Truman Show’, dalla spettacolarizzazione ombelicale in cui sembra imprigionato il dibattito politico italiano. L’occidente è frammentato, e non è solo colpa dell’amministrazione Trump. Basti pensare alle rezioni europee al Ttip. A est c’è la questione dei rapporti difficili con la Russia e la Turchia. In medio oriente l’islam sta vivendo la sua guerra dei Trent’anni. Le migrazioni destabilizzano l’Europa, ma anche il nord Africa. E l’Unione europea, disegnata per un mondo multipolare e consensuale, con una governance lenta e inclusiva, si trova totalmente spiazzata in un mondo più duro; dove le relazioni internazionali, economiche e politiche sono improntate al realismo piuttosto che all’idealismo…”. Dunque? “Dunque dobbiamo aggredire la realtà prima che la realtà aggredisca noi. In Italia è fondamentale in primo luogo raccontare ai cittadini la complessità e i rischi del crocevia della storia in cui ci troviamo. Dobbiamo cancellare l’idea che esistano ‘pasti gratis’. Che si possa assicurare il benessere attraverso redditi inventati piuttosto che avere energia a basso costo senza fare le necessarie infrastrutture. L’offerta politica grillina si fonda su questo: sulla propensione alla fuga dalla realtà che è molto radicata nel paese anche per effetto dei decenni di spesa pubblica incontrollata. Il Pd, le forze responsabili, devono essere l’esatto contrario. Il Pd può essere il pilastro attorno a cui costruire questo riformismo forte. E il governo Gentiloni può essere il luogo politico dove implementarlo, cercando un coinvolgimento ampio”. E invece? “E invece ho l’impressione che anche nel Pd si perda tempo attaccando provvedimenti che sono figli dell’agenda del governo precedente, dal ddl Concorrenza alle privatizzazioni, e altri come la norma antiscorrerie, che come tutti sanno non è retroattiva e che non si applica al caso Mediaset. Tutte leggi che servono per rispondere alla fragilità del nostro apparato normativo. Su questi punti, piuttosto che leggere ogni mattina retroscena e veline, sarebbe auspicabile ascoltare una parola chiara da parte dei candidati alla segreteria. Inseguire il populismo sul suo terreno, penso alle stravaganti idee di doppie valute proposte dal centro destra, o opporre narrazioni semplicistiche e ottimistiche, sono strategie fallimentari che conducono alla sconfitta”.

  

Ed ecco allora una bozza di piano per sfuggire, dice Calenda, “alla grande fuga dalla realtà e dalla responsabilità” incarnata dal M5s. “Bisogna investire sull’offerta, e dunque sulla competitività di lungo periodo del paese, piuttosto che sulla domanda attraverso tagli fiscali generalizzati che non possiamo permetterci. E’ necessario premiare le aziende che investono nelle tecnologie 4.0 e nell’internazionalizzazione con incentivi fiscali automatici e non settoriali. Va definita una strategia energetica nazionale ambiziosa in tema di ambiente, ma anche orientata alla sicurezza degli approvvigionamenti e al costo dell’energia. E’ inderogabile insistere su concorrenza, liberalizzazioni e privatizzazioni per rendere il paese più giusto oltre che più efficiente. Va varata finalmente la nuova struttura della contrattazione decentrata per migliorare la produttività. Vanno messe in campo, secondo le linee già definite nel decreto Sicurezza, risposte forti all’emergenza migratoria. E si deve approvare una legge elettorale che garantisca governabilità. Su questi punti si deve cercare la convergenza con le forze responsabili”. Dunque con il centrodestra e Forza Italia. “E su questi punti il Pd deve far sentire che sta accanto al governo. Se le elezioni francesi e tedesche andranno per il verso giusto, nel 2018 potremmo assistere alla nascita di una nuova governance europea fondata su diverse velocità e su politiche comuni nella dimensione esterna: sicurezza, difesa, migrazioni, commercio, energia. Il rinsaldarsi dell’asse franco-tedesco è allo stesso tempo un’opportunità e un rischio per l’Italia. Possiamo essere nella cabina di regia di questo rilancio ma possiamo anche esserne esclusi. Molto dipenderà dalla forza dell’offerta politica riformista e responsabile. Come ricordava Macron nella sua intervista al Sole: Italia, Francia e Germania hanno lavorato insieme e bene su una nuova struttura di politica commerciale comune più assertiva. Lo stesso vale per il Migration compact da noi presentato e oggi diventato politica europea. Dobbiamo andare in Europa con più proposte e meno proteste”. Ma la collaborazione tra Pd e centrodestra, specie in questa fase preelettorale, sembra impossibile. “Prevalgono, sempre, gli slogan”, dice Calenda. “La suggestione si accompagna ai messaggi semplici. L’articolazione invece, a quelli più complessi. E se c’è una cosa che le leadership dovrebbero imparare a fare è comunicare messaggi complessi, perché il populismo ha nella banalizzazione dei problemi il suo modello fondativo. Bisogna riprendere un messaggio che sia forte ma realistico, altrimenti il populismo non lo batti”.