Arturo Artom (foto LaPresse)t

Sull'onda di Arturo Artom

Alberto Brambilla

Chi è l’imprenditore di riferimento di Casaleggio Jr. che ondeggia verso i 5stelle dopo avere sfidato Grillo

Roma. Nei secoli i politici con ambizioni di governo hanno avuto, per motivi diversi, alcuni imprenditori di riferimento che ritenevano rispecchiare il loro stile o le loro opere. Benjamin Disraeli, due volte primo ministro inglese che diede sostanza a un partito Conservatore capace di guidare l’impero coloniale britannico, aveva la casata di banchieri Rothschild. Per stare in Italia, Benito Mussolini aveva come riferimento Alberto Pirelli, industriale milanese e ambasciatore fascista nel mondo. Massimo D’Alema per amore di neutralità della politica in economia non ostacolò la scalata a Telecom Italia di Roberto Colaninno, patron di Piaggio. Matteo Renzi si sente in sintonia con il riformismismo rivoluzionario di Sergio Marchionne, mastermind della fusione tra Fiat e Chrysler che arriva dalla multinazionale della certificazione Sgs, un colosso mondiale. Silvio Berlusconi aveva come modello Silvio Berlusconi, of course (anche se teneva sul comodino la foto di Gianni Agnelli). Mentre il Movimento 5 stelle di Davide Casaleggio, figlio del fondatore Gianroberto e l’inglese Elizabeth Clare Birks, ha preso a modello imprenditoriale Arturo Artom (oltre, forse, se stesso). Se è lecito confrontare le cose grandi con quelle piccole – in questo caso – il partito del commediante Beppe Grillo si rifà a un modello non molto convincente.

 


 


 

Domenica scorsa nel milieu di Ivrea, sede storica della Olivetti – dove il patròn Adriano fondò nel 1947 il “Movimento Comunità”, un partito nato in chiave anti sovietica – dalla quale provengono il padre, la madre, e anche Artom, Davide ha raccolto personalità varie vicine al M5s con l’intento escatologico di “Capire il futuro”, come da slogan della convention Sum01. Artom ne è uscito sui media come un persona capace, fino a prova contraria, di dare forma alla “rivoluzione 4.0” del grillismo che si candiderebbe a guidare la nazione.

 

Artom, 51 anni, ingegnere, è come un “Ercolino sempre in piedi”, si ricicla da anni a seconda dei cicli politici, prima si dice vicino a Enrico Letta e al suo think-tank “VeDrò”, poi dice di parlare con Mario Monti (ma anche con Al Gore e Steve Jobs), e adesso vuole appoggiare Beppe, compagno di aperitivi in Costa Smeralda. “E’ una forza politica – ha detto al Mattino all’indomani della convention – che mostra di dare ascolto a chi ha ricette per migliorare l’ambiente economico del paese”.

 



 

Eppure con le ricette dei M5s – uscire dall’euro con débâcle economica internazionale, garantire un reddito annuale per tutti gli italiani (come?), drastica riduzione del consumo e della produzione di energia ecc. – non si potrebbe garantire nemmeno la corrente elettrica (mica il wi-fi) alla popolazione.

 

Con la sua barba rossiccia e l’eleganza aristocratica, Artom impersonifica un contenitore di grandi idee, ma con risultati non proprio di pari rango. Negli anni Novanta grazie alle conoscenze apprese da papà Auro, impiegato della compagnia telefonica Stet, riesce a rompere il monopolio di quella che poi è diventata Sip, e poi Telecom, con la piccola Telsystem. “Grazie all’Antitrust di Giuliano Amato vinse la causa e incassò 4 miliardi di lire”, scriveva Malcom Pagani sul Fatto quotidiano, nel 2012, parlando di Artom “il situazionista”. Liquidò quella società e andò in Olivetti, poi Omnitel, poi in Viasat e dopo fondò Netsystem. Ufficialmente la società fu chiusa nel 2008 con perdite per oltre 40 milioni di euro, ma ancora ha un sito molto difficile da navigare che non è un buon biglietto da visita per una società di servizi informatici. Da una sua idea è nata Muvis che unisce illiminutecnica e domotica per produrre lampade di design per la casa. In Confindustria ora ha la reputazione di artefice di rovesci aziendali – “ma se non fossi stato sempre controcorrente magari sarei presidente”, disse. Per Assolombarda è stato responsabile del progetto Expo quando la divisione più potente della confederazione era presieduta da Alberto Meomartini, ma il suo successore Gianfelice Rocca non l’ha rinnovato. Insieme a Massimo Colomban, imprenditore e ora assessore della alle partecipate pubbliche della giunta Raggi a Roma, capeggia la Confapri, un’associazione di piccole imprese del nordest – anche da quelle parti i confindustriali lo considerano un rinnegato –, terreno dove peraltro si ipotizza un’alleanza sovranista M5s-Lega, che è collegata alla rete di associazioni “Si - Salviamo l’Italia” “per uscire dalla crisi e rinascere come paese” e “mandare a casa la casta dei governanti”, in lampante sintonia con il messaggio propagandato dai 5 stelle. “Salviamo l’Italia” ha sede legale a Cison di Valmarino (Treviso) presso l’hotel-castello Castelbrando di Colomban (alla reception non sanno di ricoprire anche quel prestigioso ruolo).

 


 


 

Un tempo l’arma dell’associazionismo serviva ad Artom per battere Grillo, o almeno per sfidarlo in politica. “Ho sempre stimato Beppe – disse sempre al Fatto nel 2012 in epoca di epurazioni dal Movimento – ora è prigioniero del suo successo. Vergare editti, comportarsi come il duca conte Cobram con Fantozzi”. Artom ne aveva “brutalmente copiato il metodo” e voleva “sfruttare la sua intuizione senza però fare della rete un Totem” e quindi ambire a batterlo alle elezioni. Oggi deve aver cambiato idea: ha preferito unirsi all’adunanza grillina anziché offenderla. Oppure è solo un altro ondeggiamento di Artom sempre in piedi.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.