Pier Luigi Bersani (foto LaPresse)

L'apertura di Bersani a Grillo è il finale perfetto della nuova agenda Tafazzi

Luciano Capone

Le strategie dell'ex segretario Pd hanno tutte un verbo in comune: toppare. Breve ripasso sulle traiettorie della mucca nel corridoio

Non si può dire che il tempismo sia il suo forte. Proprio nel giorno in cui Pier Luigi Bersani descrive il M5s come una specie di argine alla deriva populista e nazionalista, i grillini giocano all’assalto squadrista al Parlamento. Nella Camera i deputati pentastellati irrompono in maniera violenta al grido di “vergogna!” nell’Ufficio di presidenza e fanno sospendere il question time per protestare contro qualcosa sui vitalizi, mentre fuori i militanti grillini arringati da Di Battista e Di Maio partecipano alla manifestazione “Circondiamo il Parlamento” contro “i privilegi della casta”. Tutto questo, qualche giorno dopo che il vicepresidente della Camera Di Maio ha annunciato possibili manifestazioni violente da parte dei cittadini, che in realtà si sono comportati in maniera più civile e decente degli eletti del M5s.

 

Ma il problema di Bersani, più che la sfortuna sui tempi e sulle coincidenze, è di lucidità nell’analisi politica. Secondo la sua visione, già esposta in passato e ricostruita dal Corriere, “i Cinquestelle tengono in stand-by il sistema. Ma se alle prossime elezioni – in assenza di un centrosinistra largo – s’indebolissero, arriverebbe una robaccia di destra”. In questo senso l’analisi del padre nobile di Mdp, il partito nato dalla scissione a sinistra del Pd, coincide perfettamente con quella di Beppe Grillo: il M5s è un argine al populismo e alla xenofobia, un presidio contro  quella destra che avanza nel mondo e nelle democrazie occidentali che Bersani ha definito “la mucca nel corridoio”. Dice Bersani che senza Grillo e i suoi fantastici ragazzi l’Italia correrebbe il rischio di ritrovarsi come prima forza politica del paese un movimento anti europeista, che magari proporrebbe un referendum per uscire dall’euro, alleato in Europa con la destra di Nigel Farage, contrario ai trattati internazionali di libero commercio, protezionista, sovranista, feroce nemico delle “lenzuolate” liberalizzatrici, che strizza l’occhio a Putin e a cui non dispiace Trump. In pratica il M5s impedisce che ci sia un altro partito populista che abbia lo stesso programma del M5s. La conclusione a cui giunge l’ex segretario del Pd è che per bloccare l’avanzata del populismo non bisogna creare un fronte di grande coalizione o di larghe intese contro i populisti, ma aprire un dialogo con i populisti, magari dopo un’altra diretta streaming.

 

C’è qualcosa a livello di logica che non torna nel ragionamento di Bersani ma che corre sui binari del suo incoerente percorso politico degli ultimi anni, che ha come unica costante quella di non averne azzeccata una. Da segretario del Pd, Bersani era uno dei pilastri del governo tecnico di Mario Monti e si è presentato alle elezioni politiche rivendicando in modo poco convinto quella stagione, demonizzando il centrodestra e proponendo per il futuro un governo di centrosinistra allargato ai centristi montiani. La strategia non ha pagato alle urne (è anche grazie a Bersani che il movimento 5 stelle ha conquistato molti consensi nel paese) e il centrosinistra come è noto ha “non vinto” le elezioni. Dopo la batosta elettorale Bersani ha cambiato strategia, pensando di poter arrivare a palazzo Chigi stringendo un patto di desistenza con Grillo, quello che lo definiva “zombie”  e “morto che parla” e a cui Bersani rispondeva “fascista” e “leninista”. La trattativa per il “governo del cambiamento” è morta in diretta streaming, con un rifiuto da parte di Vito Crimi e Roberta Lombardi, una delle scene più umilianti della recente storia politica.

 

Dopo aver concluso il mandato esplorativo nell’impossibilità di formare un governo, Bersani ha condotto le trattative per l’elezione del capo dello stato. Nuova svolta: non si tratta con il M5s che propone un uomo di sinistra come Rodotà, ma si stringe un accordo con Berlusconi (quello che una settimana prima era il demonio) sul nome di Marini.

 

Il Pd non segue le sterzate e le inversioni del suo segretario, così salta il nome di Marini. Altra svolta: niente più accordi con Berlusconi, si punta su un padre nobile della sinistra come Romano Prodi. Salta pure il nome di Prodi. A due mesi dalle elezioni il paese è senza un governo e senza un presidente della Repubblica (ma in compenso ha Laura Boldrini presidente della Camera e Pietro Grasso presidente del Senato) e l’unica soluzione è stringere un nuovo accordo con Berlusconi sulla rielezione di Napolitano, pregando in ginocchio il presidente uscente di salvare le istituzioni. Così accade. E si arriva al governo Letta, sempre sulla base di un accordo con il centrodestra, la soluzione più evidente e naturale dopo il risultato elettorale ma sempre rifiutata da Bersani.

 

Dopo le dimissioni da segretario del Pd Bersani ha lavorato da oppositore interno di Renzi e del suo governo. Si è battuto per il no nel referendum costituzionale contro una riforma che aveva votato in Parlamento. E poi ha guidato, dopo la sconfitta di Renzi, la scissione della Ditta. Dopo aver indebolito da leader di maggioranza e di minoranza il Partito democratico, ha in mente un nuovo “governo del cambiamento” con il 5 stelle, stavolta però da una posizione di netta inferiorità elettorale. Grillo, secondo la brillante strategia, dovrebbe accettare da posizione di predominio ciò che ha rifiutato quando i due erano in condizioni paritarie. “Io ci sarei ancora”, dice Bersani a proposito di una diretta streaming bis con Dibba e Di Maio. Niente larghe intese contro l’animale in corridoio. Per non farsi travolgere dall’avanzata del populismo, la nuova strategia di Bersani è “cavalcare la mucca”. Ma rischio è ancora una volta di finire di nuovo con la schiena per terra, e di essere ancora lui il giaguaro che regolarmente viene smacchiato dagli avversari.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali