Matteo Renzi (foto LaPresse)

La vittoria della cultura del sospetto

Claudio Cerasa

L’assassinio politico di M. Renzi segna l’egemonia di chi gioca con la persecuzione e le sguattere del Guatemala

Il fumus persecutionis è un’espressione con la quale solitamente viene indicata una serie di azioni portate avanti da soggetti giuridici e dettate non dalla semplice applicazione della legge ma dall’intenzione di nuocere a una persona con intenti persecutori. In un paese equilibrato, in cui cioè il potere giudiziario rispetta con coerenza il principio di terzietà prescritto dalla Costituzione e non si traveste mai da potere politico, il fumus persecutionis è un fenomeno raro, che trova spazio solo nelle pagine dei libri di diritto civile. In un paese non equilibrato – in cui cioè il potere giudiziario si sente in diritto di confondere il codice penale con il codice morale, arrivando ad ammettere di essere, come sostiene Magistratura democratica, una forza che “si fa interprete dell’esigenza di un radicale cambiamento” in nome di una conclamata “resistenza costituzionale” – il fumus persecutionis esce con maggiore frequenza dai libri di diritto.

 

E anche grazie a un sistema politico sottomesso al potere giudiziario capita spesso che l’eccezione diventi il caso di non persecuzione, e non il caso di persecuzione. In un certo senso, per stare ai nostri giorni, la storia del fumus è centrale all’interno dell’inchiesta sulla Consip. Non tanto per la storia che riguarda un campione degli appalti (Alfredo Romeo) accusato di aver versato tangenti a un ex dirigente Consip (Marco Gasparri) per avere possibilità di successo nell’ambito di un appalto milionario (non vinto) della stessa Consip. Il fumus riguarda l’altro lato della storia, quello più fragile, dove si combinano in modo esemplare alcuni elementi destinati ad alimentare sempre di più un fenomeno che si trova alla base di ogni regime persecutorio: la codificazione della cultura del sospetto. Nell’inchiesta parallela a quella di Romeo, l’impianto politico-accusatorio punta a dimostrare che durante il governo Renzi sarebbe nata una “cricca” (definizione della sinistra uscita dal Pd, già costola del Movimento 5 stelle) capitanata da Luca Lotti (indagato) e da babbo Renzi (indagato, ieri interrogato dai pm a Roma) che avrebbe agito in nome e per conto dell’ex presidente del Consiglio per portare soldi nelle tasche del Giglio magico.

 

La tesi non presenta riscontri fattuali, se non le parole dell’ad di Consip (Luigi Marroni, amico del papà di Renzi) che ha affermato di aver ricevuto pressioni (non documentate) per favorire Romeo da parte di un imprenditore toscano (Carlo Russo, amico di babbo Renzi), che secondo Marroni avrebbe agito su spinta sia del papà di Renzi sia di Verdini, il quale Verdini però, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe stato sostenitore anche di un’altra cordata che nell’appalto Consip si opponeva alla cordata di Romeo. Non sappiamo quale sarà il destino giudiziario del Giglio magico, oggi demolito in una funerea copertina dell’Espresso, ma sappiamo che un pezzo importante del mondo politico, dal quale forse si sta sottraendo Silvio Berlusconi, ha scelto di fare un altro passo in avanti verso l’affermazione di un regime orrendo fondato sulla cultura del sospetto, in cui la priorità delle battaglie di partito (l’assassinio politico di M. Renzi) viene prima del rispetto della Costituzione, del garantismo, e anche prima di un principio che dovrebbe essere prioritario in un paese in cui il potere giudiziario avanza mentre il potere politico arretra. Da questo punto di vista, la trasformazione di una millanteria fino a prova contraria (il fatto che Carlo Russo si accreditasse come uomo portatore degli interessi del Giglio magico) in un evidente certificato di colpevolezza è un passaggio che non si può capire senza allargare bene l’obiettivo e fotografare con chiarezza ciò che è diventata l’Italia a venticinque anni da Tangentopoli.

 

Il tentativo di assassinio politico di M. Renzi arriva infatti in una fase in cui è in corso anche un assassinio della politica, grazie a un combinato disposto che dovrebbe spaventare più della famosa somma tra referendum costituzionale e Italicum: il trionfo culturale di un movimento anti sistema che punta a far emergere una classe politica inetta destinata a essere portavoce più delle procure che dei cittadini; il ritorno di un certo spirito manettaro in un Pd che certamente subirà i contraccolpi della possibile ascesa di un magistrato alla guida del partito; lo spirito grillino che già si è impossessato del corpo molle della sinistra uscita dal Pd e degli altri partiti anti sistema. Non sappiamo come finirà l’inchiesta Consip e quale sarà il destino del Giglio magico. Sappiamo però che le inchieste che si mescolano alla politica finiscono spesso negli archivi delle procure, ma i metodi in stile sguattere del Guatemala restano per sempre. E come dice Paul Giamatti in una magnifica scena di “Billions”, “se vieni accusato di scoparti una capra, anche se la capra smentisse, per gran parte della tua vita verrai ricordato solo per quello”. E’ il circo mediatico, bellezza, e senza il contrappeso della politica tu non puoi farci niente.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.